A Revolt Magazine Manifesto / Essay / Editoriali /
A REVOLT MAGAZINE / CE N’ERA DAVVERO BISOGNO?
L’11 gennaio 2024 alle 11:11 è nata A Revolt, la nuova rivista di arte e cultura contemporanea.
Rivolta (Treccani)
s. f. [der. di rivoltare]. – 1. a. ant. o poet. L’azione, il fatto di rivoltare o di rivoltarsi dall’altra parte: ad una Rivolta d’occhi (Petrarca). (…) 2. L’azione e il fatto di rivoltarsi contro l’ordine e il potere costituito (…) ◆ Dim. rivoltina, solo nel sign. 1 b, di indumenti e oggetti di vestiario.
Revolt (Cambridge dictionary)
If a large number of people revolt, they refuse to be controlled or ruled, and take action against authority, often violent action:
The people revolted against foreign rule and established their own government.
Etymology:
Borrowed from French révolter, from Italian rivoltare, itself either from ri- with the verb voltare, or possibly from a Vulgar Latin *revoltāre < *revolvitāre, for *revolūtāre, frequentative of Latin revolvō (“roll back”)
Nel saturo mercato dei magazine di settore, destinati a un’irrilevante nicchia di pubblico (gli appassionati d’arte contemporanea non superano di molto i praticanti di curling, dati istat), era proprio necessaria una nuova rivista?
Assolutamente no! A Revolt è del tutto superflua. D’altro canto, non ci vengono in mente ragioni migliori per lanciarsi in una qualsivoglia impresa, se non la gratuità. Un’iniziativa non dettata dalla necessità, né tantomeno dal profitto, figuriamoci, bensì dal piacere che si prova nel realizzarla. Per dirla in breve: A Revolt non serve a niente! Semplicemente ci andava di farla e chissà che a qualcheduno potrebbe anche venir voglia di leggerla.
Ma di che si tratta? A Revolt Magazine è solo marginalmente una rivista. Prima di tutto è un’istanza di rivolta. Un desiderio diffuso, quello della ribellione, comune a tutte le epoche, persino funzionale al grande canovaccio della Storia che avanza per sovvertimenti di equilibri di potere. Oggi, però, la ribellione non ha più lo slancio né il fervore del passato. Annacquata da uno spleen 2.0 senza Baudelaire (prontamente rimpiazzato da Damiano dei Maneskin), la rabbia sociale ha perso di vista i suoi bersagli e per lo più si scaglia contro qualche influencer caduta in disgrazia. Dopotutto è difficile provare odio per stringhe di codice binario senza capo né coda, rappresentanti il vero potere occulto del nostro mondo, altro che Bilderberg Meeting.
Il desiderio, non quello drogato dagli appetizzanti e dalla seratonina, il desiderio nelle sue manifestazioni più profonde intendo, è stato azzerato dall’incapacità di immaginare il futuro.
Gli oracoli del nuovo millennio, non sciolti più a Delfi ma retwittati su X, ci prospettano un avvenire tutt’altro che radioso. Per rendersene conto è sufficente sbirciare un articolo a caso di Yuval Noah Harari, Nick Bostrom o Carl Frey, le cui profezie, al pari con le quotazioni di criptovalute e l’opportunità di acquistare una Tesla o un’ibrida, sono tra gli argomenti di conversazione prediletti dai millennial con ISEE superiore a 43.240€. Solo per aver letto Homo Deus uno psichiatra voleva somministarmi a tutti i costi una terapia preventiva di paroxetina.
E come dargli torto? Società del post-lavoro, transumanesimo, crisi demografica, emergenza climatica, prefigurano un mondo che va oltre le più fosche fantasie di Orwell, Huxley e della pletora di scrittori Cyberpunk che li hanno seguiti. Siamo come luddisti impauriti del XIX secolo, con la differenza, non trascurabile, che le macchine oggi non si limitano a produrre migliaia di cucchiaini da tè in serie, ma possono al contempo scrivere una poesia con lo stile di Paul Verlaine, risolvere la congettura di Hodge e cantare Bohemian Rapsody adoperando il timbro vocale di Donal Trump, il tutto in un battito di ciglia.
Ed è in questo marasma che A Revolt Magazine cerca di far sentire la sua voce. Vogliamo forse opporci al progresso? Per niente, sarebbe del tutto inutile e, tra l’altro, non ci spaventa.
Non fraintendetemi, A Revolt è sì una rivista sovversiva, consapevole, però, che la sua azione violenta è destinata a infrangersi contro i mulini a vento; a Roma non c’è più niente da bruciare, ci sono solo rovine fumanti. Tuttavia, memori della lezione di Karl Jaspers, crediamo che ciascuno possa concorrere, impercettibilmente, all’andamento dell’avvenire. Ecco la ragione di fondo che ci spinge a fare la nostra parte, nella nostra piccola nicchia di pertinenza: il curling! No… voglio dire l’arte contemporanea!
A Revolt è l’erede di una fanzine milanese del 2000 —di quelle in bianco e nero, fotocopiate di straforo negli uffici di ignari genitori (no papà, non erano i poltergheist a fare incetta di faldoni di carta)— ma riproposta in un formato più “eco-friendly”, quello del blog. Lo sappiamo, se polpa di cellulosa e toner sono risparmiati, lo dobbiamo alle innumerevoli server farm sbucate come funghi negli ultimi decenni.
Allora come oggi, A Revolt Magazine è una tribuna aperta che ambisce a dare spazio alle contraddizioni, rifiutando il principio della coerenza-a-tutti-i-costi, qui si è liberi di cambiare idea e anche di fare emergere tutta la ricchezza e la complessità delle posizioni contrastanti.
Sono bene accette voci del dissenso e del sistema, taliban della Cancel Culture o seguaci di Pepe the Frog, gente che infarcisce di schwa ogni frase o accademici della crusca (persino quelli che hanno sdoganato l’espressione “scendi il cane”) e ancora: i figli di padri ammalati, i futuristi, gli scavezzacollo, i patafisici, i cultori dei video di gattini, i nomadi digitali, i nomadi per davvero e anche il gruppo musicale, i preti laici e i laici preti… insomma, nei limiti di legge (anche piuttosto a ridosso di questi limiti), qui tutti hanno facoltà di parola, senza censura, fatto salvo per i cliché e le frasi fatte, per questi ci sarà tolleranza zero, perchè d’accordo, tutto fa brodo, ma quando ci vuole, ci vuole!
A Revolt Magazine vuole indagare la società contemporanea attraverso la lente privilegiata dell’arte, l’unica attività umana in grado di svelare e riassumere il genius saeculi (o zeitgeist per i germanofili) con procedimenti quasi esoterici.
In particolare, mettendo in luce le sperimentazioni, le nuove suggestioni, le rotture col passato e anche quelle col futuro. Il fuoco sarà soprattutto sui creativi e sugli artisti, i fautori di questa rivoluzione sommersa che ci proponiamo di sostenere. Specie quelli indipendenti, emergenti, emarginati, sconosciuti, giovani e meno giovani. In barba alla dittatura degli algoritmi e del numero di follower (il moderno metro del successo nell’arte e non solo) daremo voce anche a chi riceve like solo dalla nonna o addirittura non ha un account Instagram o non ha la nonna. L’unico discrimine è che ci credano davvero e che siano devoti a Calliope. Saltuariamente sarà dato spazio a personalità affermate, anche in questo caso, però, saranno artisti che hanno trovato un riconoscimento, nonostante l’indisponibilità ad asservirsi alle nuove tendenze e a compiacere il gusto dominante.
Nell’epoca degli swipe compulsivi di TikTok in cui la soglia di attenzione media si attesta al livello ‘pesce rosso’, A Revolt vuole comunque servirsi della parola scritta, consapevole di rivolgersi a una categoria di utenti internet dichiarata specie protetta dal WWF.
Qui ci sarà spazio per approfondimenti, dissertazioni, filosofia, pensiero astratto… Non abbiamo l’ambizione di fare “grandi numeri”, quanto piuttosto quella di costituire una piccola ma coesa comunità, di creare connessioni tra appassionati, critici, curatori, artisti, realtà indipendenti, piccole gallerie, teatri di perfieria, cinema autogestiti… Questo perchè riteniamo che l’unica rivolta possibile contro l’insensatezza del nostro mondo, risieda nella capacità di immaginare altri mondi possibili. La rivolta è l’immaginazione, l’arte è la rivolta. La ribellione inizia quando si ama l’arte.
P.S. A Revolt è anche un’anagramma.