L’arte secondo Sigmund Freud / Essay / Rassegna: Arte e Psicoanalisi / Un discorso sul binomio psicoanalisi-arte costringe a percorrere un territorio irriducibile alle categorie della scienza. Oggi, in un momento in cui molti prodotti artistici sono sottoposti alle speculazioni dei sistemi commerciali, fondati sulla pubblicità e sulla manipolazione del gusto, interrogarsi sullo specifico dell’arte non è semplice. Se da una parte il progetto di una scienza dell’arte fondata su canoni estetici è naufragato nell’arido riduzionismo, la ricerca di un metodo che possa tenere insieme il gusto, il progetto e l’evento (come atto creativo in grado di modificare l’esistente in modo spontaneo) pone problemi che non riguardano solo l’estetica ma la soggettività.
Una psicologia dell’arte
Dare concretezza al processo artistico impone dunque di fare i conti con una psicologia dell’arte e con il doppio legame che ogni opera ha con il tempo. Valorizzare l’evento artistico come fatto concluso, trascurando il suo essere in divenire avente come nucleo l’interiorità cangiante del suo creatore è fallace oltre che illusorio. La scoperta del filo che collega l’arte al mondo psichico dell’artista si deve a Freud, anche se altri prima di lui hanno cercato di scandagliare i processi psichici e di penetrare negli abissi della coscienza, a partire dai prodotti artistici.

Con i suoi numerosi saggi su pittori, scultori e scrittori del passato e contemporanei, l’inventore della psicoanalisi è il primo a perlustrare un territorio a lui poco noto per provare il fondamento psichico di ogni opera d’arte. Indotto non solo dal piacere ma anche per dare la possibilità a chi non è edotto di farsi un’idea su alcuni nodi tematici della dottrina psicoanalitica. Mettendo in guardia, però, il lettore dallo psicologismo estetico, ovvero dalla pretesa di stabilire dei criteri di valutazione estetica attraverso un’indagine psicologica:
“purtroppo dinanzi al problema del poeta [della valutazione estetica] l’analisi deve deporre le armi“
Sigmund Freud
L‘arte è, quindi, usata inizialmente per spiegare la psicoanalisi, come nel saggio su Leonardo Da Vinci in cui approfondisce la formazione degli pseudo ricordi infantili (Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci, 1910). Avvertendo che:
“Non spetta a ricerche di questo tipo spiegare il genio del poeta, ma esse mostrano quali motivi il genio stesso abbia risvegliato, e quale materia gli sia stata offerta dal destino. Ha un particolare fascino lo studio delle leggi della vita psichica condotto sopra una personalità di rilievo“
Sigmund Freud
Insomma, immagina di mettere sul lettino i suoi autori e i loro personaggi, trattandoli come persone viventi e traendo spunto per discutere della natura del narcisismo, del complesso edipico, dell’omosessualità. Ma sono divagazioni a cui lo stesso Freud non riconosce rigore scientifico come scriverà in una lettera del 1914 al pittore Hermann Struck a proposito del saggio su Leonardo che teme non sia apprezzato dall’artista:
“Esso presuppone che non ci si scandalizzi dei temi omosessuali e che si abbia molta familiarità con le vie contorte della psicoanalisi. Del resto è, per metà, una composizione romanzesca“
Sigmund Freud
L’arte secondo Sigmund Freud. Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico
La scoperta di questo legame fornisce inoltre allo stesso Freud l’occasione per squadernare una galleria di caratteri da sottoporre a un trattamento analitico. Nel suo saggio: Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico (1916) egli sopprime ogni differenza tra la realtà e l’inventiva, anzi confonde i due piani fino a trarre dall’invenzione artistica la chiave interpretativa per approfondire il suo pensiero.
Le finalità di questi studi sono dallo stesso Autore considerate un semplice corollario di ricerche più specialistiche, senza un carattere definitivo, ma spunto per una serie di intuizioni, fatte da un inesperto che maneggia una materia a lui poco nota come lui stesso dichiara:
“Premetto che in fatto d’arte non sono un intenditore, ma un profano“
Sigmund Freud
Questa ‘ignoranza’ per quanto riguarda gli aspetti tecnici e formali lo porta a volgere la sua attenzione sulla corrente emotiva che si sprigiona dall’opera d’arte, la quale esercita sull’osservatore una potente attrazione. La natura del rapporto che si crea tra il fruitore e l’opera, è quindi individuato nella capacità di ottenere fonti di piacere o di godimento dalla (nostra) vita affettiva. Nel commento alla Poetica di Aristotele all’effetto catartico, dovuto ai sentimenti di pietà e terrore suscitati dallo spettacolo, unisce l’effetto del piacere ricavato dalla intensa affettività. La tragedia dunque appagherebbe un desiderio di tipo affettivo, a differenza della comicità e del motto di spirito, che sarebbero invece fonti di un godimento intellettuale.
L’arte secondo Sigmund Freud. Il poeta e la fantasia
Di grande interesse è la similitudine da lui fatta tra l’artista e il bambino sull’onda dell’analogia tra l’arte e il gioco. Analogia che nel saggio Il poeta e la fantasia lo porterà ad aprire prospettive non convenzionali sulla funzione del teatro e sul carattere dell’attore. Trovando riprova di questa analogia nella comunanza linguistica che in alcune lingue –come l’inglese, il francese e il tedesco– sovrappone le due sfere semantiche.
Il verbo giocare (“to play”, “jouer”, “spielen”) è usato infatti per denotare sia attività ludiche sia attività artistiche. Ad esempio, l’attore non si trova più a “recitare” una parte, ma a “giocare” un ruolo, cioè a vivere esprimendo molto più e molto più intensamente se stesso di quanto non faccia nella vita ordinaria. In tal caso ‘vive’ un dramma che non si svolge sul piano della rappresentazione, ma su quello della realtà. Con il concetto di gioco dunque Freud lega a filo doppio l’arte al mondo psichico dell’artista, individuando uno dei nuclei della sua creazione nella spontaneità infantile e riconducendo le risposte libidiche alla stessa attività ludica.
L’arte come i sogni come i motti di spirito è un prodotto dell’inconscio, una regressione al servizio dell’io, in cui il
contatto con la realtà è prontamente recuperabile. Freud in Precisazioni sui due principi dell’accadere psichico (1911) dice:
“L’artista si distacca dalla realtà…poi però trova la via per ritornare ad essa …perché grazie alle sue doti particolari, trasfigura le sue fantasie in una nuova specie di cose vere”
Nella psicoanalisi come nell’arte si danno esperienze vere ma non reali
Il ritorno alla realtà è infatti necessario per rendere concreta la figurabilità dell’opera e la sua comunicabilità, affinché possa essere da tutti godibile. Nella psicoanalisi e nell’arte si danno esperienze vere ma non reali, come nel teatro dove tutto è finto, ma niente è falso. La fantasia con la simbolizzazione crea il regno della possibilità dove la pulsione affrancata dall’istinto può trovare oggetti sostitutivi, in cui non prevale la cesura, ma dove i confini consentono il contatto e la porosità tra sogno e realtà, tra coscienza e inconscio, tra passato presente e futuro.