Conformismo nell’uomo nuovo / Contemporanea / Il conformismo nel sentire e nelle emozioni dell’uomo contemporaneo

Cos’è il conformismo? / Conformismo nell’uomo nuovo / Essay / Rassegna: Contemporanea / «Voi siete come tutti gli altri», concluse Alesa, «cioè come molti altri, solo che non bisogna essere come tutti, ecco»

«Anche se tutti gli altri sono così?»  

«Sì, anche se tutti gli altri sono così. Siate diverso almeno voi. In realtà, poi, voi non siete come tutti gli altri: voi adesso, per esempio, non vi siete vergognato di riconoscere quel che di brutto e di  ridicolo c’è in voi. Mentre chi lo riconoscerebbe di questi tempi? Nessuno, hanno smesso persino di sentire il bisogno dell’autocritica.(…) Non siate come tutti gli altri, anche se doveste essere l’unico, non siate come tutti gli altri». 

(F. Dostoevskij, I fratelli Karamazov).

In questo dialogo, Fëdor Dostoevskij invita, per bocca di Alesa, a  dissentire dalla mentalità più diffusa, a essere meno condizionati dal giudizio degli altri, giudizio che, a volte, ha un effetto dirompente. Ma che cosa intendiamo per conformismo? Cito dal Devoto-Oli: «un’abitudinaria, acritica, piatta adesione e deferenza nei confronti delle opinioni e dei gusti della maggioranza e delle direttive del potere». A questo punto è d’obbligo la domanda: «in quale modo il conformismo cambia il nostro modo di sentire e limita la nostra libertà?».

Nel film Zelig di Woody Allen, il protagonista, per essere amato, si trasforma, rendendosi del tutto permeabile al mondo e assumendo, in un iperbolico camaleontismo, le fattezze di chi gli sta accanto. Il film, che è un acuto saggio di analisi sociale, mostra come l’ideologia emozionale garantisca la coesione di gruppo e il riconoscimento identitario del singolo. L’adattamento indifferenziato di Zelig, considerato un successo  per il sistema di credenze occidentali, è però ‘eccessivo’ e va normalizzato con un lavoro emotivo: la psicoterapia.

Economia del conformismo

Conformismo e anticonformismo sono, come è intuibile dagli esempi riportati, due atteggiamenti segnaletici del tipo di rapporto intrattenuto con il mondo. Un mondo organizzato in base a norme, regole, abitudini, valori, sedimentati e condivisi e insieme cangianti e mutevoli. Conformarsi significa ‘prendere forma’, adattandosi a un sistema di significati prestabilito e riconoscibile, fino a assumerne in qualche modo la parvenza. 

Ciascuno di noi è disidentico, imprigionato nei molti ruoli familiari, sociali, lavorativi che costellano la sua esistenza e nei molti ‘soggetti’ che popolano la sua mente  In questa drammatica dispersione dell’Io, il conformismo può essere visto come un confortante antidoto all’isolamento, altamente economico, in quanto permette un risparmio psichico e una forte coesione sociale.

Ma si parla di conformismo in una accezione negativa quando l’adesione al pensiero o alle norme prevalenti è solo formale, ‘dovuta’, e contrasta con le convinzioni, le idee, le aspirazioni individuali. Adattarsi alla mentalità corrente può allora spingere il soggetto a vivere una doppia morale e a abitare mondi non comunicanti. Si ha una scissione della soggettività che oscilla tra un adattamento supino, un sonnambulismo cibernetico costruito su un consumo compiacente di regole, estranee al proprio modo di sentire e un esodo spesso forzato, una condizione di esiliato o di ribelle a un sistema giudicato oppressivo, inadeguato o, peggio, inumano.

La personalità si sdoppia e si frantuma nello sforzo di vivere due o più esistenze parallele con un grande dispendio psichico. L’uso liberatorio e consumistico che oggi si fa  del tempo libero è una spia di questa schizofrenia dell’esistere spezzato e non autentico.

In che modo il conformismo regola e orienta le relazioni interpersonali

La domanda è allora: in quale modo il conformismo come disciplina autonormativa regola e orienta le relazioni interpersonali? E in quale rapporto sta con la morale? Come possiamo coniugare l’opportunismo o l’opportunità di alcuni comportamenti con una moralità affrancata da norme percepite estranee, ingiuste, persecutorie?

Per Freud la nevrosi è la maschera oggettiva di una malattia morale. Il nevrotico – egli dice – è un perverso fallito. Usando un termine etico (la perversione implica infatti un biasimo morale) Freud rende molto sfumata la barriera epistemologica che separa l’analisi oggettiva dei processi psichici dalla valutazione morale.

Ma se la psicoanalisi classica ha indebolito, per così dire, il dualismo che nel pensiero moderno scinde fatti e valori, (fatti, come meccanismi psichici osservabili e oggettivabili e valori come parametri in base ai quali gli atti sono giudicati buoni o cattivi, accettabili o meno) la psicoanalisi e la cultura corrente, sono andate nel senso opposto. Piuttosto che assegnare alla nevrosi una valenza etica (il nevrotico è per Freud, a tutti gli effetti, un soggetto morale) hanno affrontato i drammi morali come se fossero nevrosi. Il risultato è che l’ethos psicologico ha colonizzato, normalizzandola, la società, catalogando come malattia qualsiasi comportamento moralmente deplorevole.

La perversione è una trasgressione morale

Trattando delle perversioni, Sergio Benvenuto (Benvenuto S., 2005) sostiene che un atto è perverso quando si compie nel registro etico; la perversione è una trasgressione morale in quanto processo interattivo: chiama in causa la soggettività dell’altro e la umilia. Nel copione relazionale che si ripete in maniera compulsiva e in cui ‘riprendono forma’ riattivandosi l’umiliazione, il distacco e il disprezzo subiti, l’altro è essenziale, è un co-protagonista. La sessualità, per lo stesso Benvenuto, è un atto etico quando all’amor, inteso come attrazione e trasporto fisico si unisce la caritas, cioè il provare com-passione per il desiderio dell’altro come riflesso originario del nostro desiderio.

L’aver ignorato questo tropismo verso l’altro, come soggetto reale e non come funzione astratta o semplice meta pulsionale, ha fatto dimenticare quanto sia fondamentale per la nostra vita psichica ciò che le persone per noi significative pensano, godono e soffrono. La scena primaria in cui il bambino scopre il legame intimo tra i propri genitori è angosciante perché è una scena di primaria esclusione.

La gelosia è ekstatica

La gelosia, ad esempio, oggi irrisa e svalutata come sintomo di dipendenza affettiva e emozionale, è stata spiegata (in una prospettiva evoluzionistica che fa da sfondo agli esperimenti condotti dagli etologi) dalla teoria dell’attaccamento di John Bowlby (Bowlby J., 1973), come un sentimento di abbandono, collegato al bisogno innato di prossimità del piccolo alla propria figura di attaccamento.

Ma, a ben vedere, essa ha un altro risvolto emozionale: la paura che l’altro possa essere felice senza di me. Otello non teme che Desdemona lo abbandoni, ma è ossessionato dalla scena di Desdemona che fa l’amore con Cassio e ne gode.  La gelosia è ekstatica, è un sentimento che ci porta fuori di noi stessi, è sofferenza per la verità o, se vogliamo, passione per la realtà, per ciò che l’altro fa o sente, in nostra assenza.

Cos’è il conformismo? Il conformismo nei bambini e negli adolescenti

Questo spiega l’alta sensibilità infantile all’esclusione e il conformismo che ne deriva. I genitori sanno quanto i bambini si preoccupino di non distinguersi e persino di nascondere i propri meriti per non risaltare nel gruppo e per non percepirsi al di fuori di esso. La diversità può diventare uno stigma per un bambino e esporlo a diventare la vittima predestinata di coetanei bulli. I bambini comprendono bene l’importanza dello stare nel gruppo; essi sono assetati di inclusione, oltre che affamati di affetto.

Non è l’angoscia della castrazione o della punizione o della perdita a farci sentire piccoli e sminuiti, ma l’angoscia di essere esclusi da quello che l’altro sente e è. La differenza (di genere, di etnia, di condizione sociale, di età, di religione,) suscita e veicola il mistero dell’altro, di ciò che egli sente e è veramente e include un terzo o dei terzi in una relazione che non può essere esclusiva. Così sentimento di abbandono e perdita sono la soluzione e non la ‘causa dirompente’ della gelosia: il geloso preferisce perdere l’oggetto, piuttosto che permettere che la persona che ama sia felice senza di lui.

Cos’è il conformismo? Un alfabeto emotivo già pronto nell’infanzia

Nell’infanzia e nell’adolescenza il conformismo è associato a un alfabeto emotivo già pronto, preso a prestito dal gruppo dei pari. È questa appartenenza a controbilanciare il rischio della separazione e ad aiutare l’autonomia e lo svincolo dell’adolescente dalla famiglia. In alcuni casi, però, l’adeguamento supino alle norme e al pensiero di gruppo può scatenare comportamenti trasgressivi e autolesionistici. Il gruppo, allora, si compatta e costruisce la sua identità ‘contro’ le regole sociali. Proprio perché  i rapporti al suo interno sono fragili e provvisori, si prende dall’esterno il senso e il modo di sentire, si aderisce in modo amorfo alla volontà collettiva, con un guadagno di visibilità che l’adolescente percepisce di non avere. Spesso nel gruppo si sviluppa una cultura dell’illegalità, perché sono alterati i processi di pensiero, il senso di responsabilità e di interesse per il bene comune. 

Il conformista - Bernardo Bertolucci (1970) Cos'è il conformismo?
Il conformista – Bernardo Bertolucci (1970). Una scena del film.
La morale terapeutica e l’indifferenza

Ma i comportamenti apatici,  passivi, indifferenti, così evidenti nell’universo giovanile, sono ancora più pervasivi nel mondo adulto. Anche in questo caso è il conformismo con il suo dispositivo di normalizzazione ad addormentare le coscienze e a trasformarci in sonnambuli ingabbiati nella ripetizione di gesti automatici e usuali. Mi riferisco ai due nuovi conformismi della morale terapeutica e dell’indifferenza. Il primo ci rende dipendenti, mentre il secondo fa di noi individui frettolosi e distratti, privi di passione, ma soprattutto soli.

Secondo Frank Furedi (Furedi S., 2004) l’individualizzazione dell’esperienza sociale ha accresciuto il senso di vulnerabilità personale. Inoltre, la cultura dominante, estendendo il concetto di malattia a situazioni di disagio che in passato erano vissute come naturali, comuni alla maggior parte degli esseri viventi e inevitabili, ha diffuso negli individui una percezione di  fragilità e incompetenza nella gestione emotiva e nella conduzione della propria vita.

Molti genitori si sentono disorientati e smarriti e del tutto impreparati ad affrontare il rapporto con i figli, le coppie in crisi sentono la necessità di ricorrere a un esperto per dirimere incomprensioni e conflitti. Al posto dei rapporti informali e delle reti di solidarietà, in crisi per l’isolamento che l’individuo vive nella società moderna, si è applicata ai rapporti privati la struttura contrattuale del mondo economico e  burocratico, e ciò rischia di offuscare, secondo Robert Bellah (Bellah R. 1996), sia gli ideali di virtù personale, sia quelli di bene pubblico.

Cos’è il conformismo? Il nuovo conformismo

La morale terapeutica definita da Furedi il ‘nuovo conformismo’ ha reclutato eserciti di professionisti come intermediatori dell’esperienza sociale, in parte radicalizzando l’ipotesi speculativa della trasmissione intergenerazionale della sofferenza e indebolendo il senso di autonomia delle persone in una visione passiva e fatalistica.

Quanto questo pessimismo di fondo sia in rapporto con l’altro imperante conformismo dell’indifferenza è da vedere. La nostra società è percorsa da un paradosso: da una parte un’effervescenza emotiva, una cultura delle emozioni che individua nell’esprimere le emozioni il suo cuore pulsante, dall’altra un’apatia, un calmo interesse, una pacata convenienza che sembrano sanzionare l’avvento di una società senza passioni.

La regolazione delle emozioni

Però per gli esperti e i nuovi guru, sguinzagliati dalla morale terapeutica, la regolazione delle emozioni è diventato il crinale tra normalità e anormalità e la loro padronanza è ritenuta fondamentale per coltivare il processo di autorealizzazione (altra parola magica) degli esseri umani. D’altra parte ogni cultura compila il proprio lessico emotivo. La disciplina socio normativa delle emozioni, che segnala ciò che è accettabile e ciò che non lo è, è diventata un dispositivo produttore di indifferenza. La figura prototipica dell’indifferente è il passante distratto e noncurante, pronto a distogliere lo sguardo dalle disgrazie altrui, un sonnambulo frettoloso e preoccupato di schivare ogni coinvolgimento emotivo.

È possibile riconoscersi in questo individuo che passa oltre e che non posa lo sguardo? Sicuramente sì. Eppure l’indifferenza è oggetto di biasimo sociale, lemma di ogni antologia del male, denunciata come deriva di un narcisismo collettivo che ha alcunché di patologico e pertanto recintabile dentro i confini della interiorità e bisognoso di un trattamento. La stessa indifferenza viene, per altri versi, eliminata dai comportamenti immorali e inserita nel prontuario delle patologie: c’è, infatti un disturbo clinico, l’alessitimia che ne descrive i sintomi: incapacità di sentire e di esprimere le emozioni, abulia, passività. L’esito è un’esistenza da robot, con quello che sembra un superadattamento alla realtà dopo che il mondo dell’immaginazione e dei sentimenti è stato eliminato. 

Il buon samaritano è un dissidente

In drammatico contrappunto, la figura del buon samaritano, attento agli altri e pronto a dare aiuto, serve a proiettare un po’ di umanità in una società che insegue ricchezza e successo e guarda a interesse e convenienza come a comportamenti non solo accettabili ma necessari.

Secondo Adriano Zamperini (Zamperini A., 2007) solo ricorrendo alla trasgressione  possiamo rompere il canone convenzionale dell’indifferenza. Il samaritano è un dissidente che non si conforma alla disciplina emozionale del non lasciarsi coinvolgere, dettata dalla cultura collettiva. È uno che non si arrende all’imperativo di ignorare quanto accade intorno a lui, imposto dalla società, nel suo mimetismo conformista del sentire.

Conformismo e anticonformismo

Nella Lettera ai Corinzi Paolo dà ai fratelli di Corinto alcuni consigli quanto al comportamento da tenere nei riguardi dei banchetti pagani. Il cristiano è libero –egli dice– perché sa che gli idoli sono nulla e pertanto può partecipare ai riti pagani senza timore di essere irretito o sviato da false credenze. Però lo stesso cristiano deve essere prudente, in quanto il ritorno agli stili di vita del passato può farlo scivolare nell’idolatria.

Soprattutto, non deve, con il suo comportamento, dare scandalo ai dubbiosi. La carità spinge a vedere in modo interattivo il rapporto con l’altro e a considerare le proprie azioni in rapporto al bene e alla salvezza dell’altro. Il conformismo non dovrebbe essere solo mimetismo camaleontico, così come l’anticonformismo non dovrebbe passare necessariamente attraverso la  distruzione di tutte le regole e di tutti i valori.

Nel romanzo I fratelli Karamazov il ‘doppio’ di Ivan, che assume le sembianze di Satana, dice: «dal momento che Dio e l’immortalità non esistono, all’uomo nuovo è permesso di diventare un uomo-dio… per un dio non c’è legge che tenga… ‘tutto è ammesso’ punto e basta! Tutto questo è molto piacevole: ma se volevi solo combinare mascalzonate a che serve una sanzione di verità per farlo? Ma è fatto così l’uomo russo contemporaneo: senza una sanzione di verità non si decide a combinare mascalzonate, a tal punto è innamorato della verità» 

Potremmo aggiungere: l’uomo tout court…!

Bibliografia:

Bellah R. e al.(1996) Habits of the Heart: Individualism and Commitment in American Life. Univerisity of California Press, Berkeley.

Benvenuto S. (2005). Perversioni. Sessualità, etica, psicoanalisi. Torino, Bollati Boringhieri.

Bowlby J. (1973). Attaccamento e perdita. Vol. 2: La separazione dalla madre. (Trad. it. 1975.) Torino, Bollati Boringhieri.

Devoto G., Oli G. (1990). Dizionario della lingua italiana. Firenze, Le Monnier.

Dostoevskij F. (1878-1880) I fratelli Karamazov. (Trad. it. 1999). Milano, Garzanti.

Furedi F. (2004). Therapeutic Culture cultivating Vulnerability in an Uncertaine Age. (Trad. it. 2005). Prima edizione in “Campi del sapere”, Milano, Feltrinelli. (2008) Prima edizione nell’”Universale economica” Saggi. 

Mucchi Faina A. (1998). Il conformismo. Gretto opportunismo, tirannia della maggioranza o fonte di coesione sociale? Bologna, Il Mulino.

Zamperini A. (2007). L’indifferenza. Conformismo del sentire e dissenso emozionale. Torino, Einaudi.

Azalen Tomaselli
Azalen Tomaselli
Psicologa e psicoterapeuta. Mediatrice penale e familiare. È stata docente della Scuola di Specializzazione Psicoterapia Conversazionale di Parma. Ha pubblicato La conversazione possibile con il malato alzheimer (Franco Angeli, 2004), Amore e Tradimento (Aracne, 2018), Liturgia dell'ira (Franco Angeli, 2019), Il carcere: una città invisibile (Franco Angeli, 2020)

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