EXTRA LIFE di Gisèle Vienne / Arti Performative / Teatro / Recensioni / Nel teatro dell’Arte della Triennale è andato in scena il 16 e il 17 marzo Extra Life, uno spettacolo che mischia con forte carica emotiva teatro, danza e musica.
Trama
Un fratello e una sorella, Claire (Adèle Haenel) e Félix (Theo Livesey), si ritrovano a una festa dopo vent’anni. Chiusi nell’ abitacolo illuminato di un’automobile, unico elemento scenico —quasi a significare la casa perduta— in preda all’euforia si abbandonano ai ricordi. Lo sviluppo della vicenda prende però direzioni impreviste, perché come in un trattamento analitico è il “rimosso” a diventare improvvisamente protagonista, man mano che la matassa della memoria riporta alla luce esperienze perturbanti del passato.
Uniti da un forte legame e poi divisi da una tragedia familiare irrisolta, i due ormai adulti possono rivivere i rapporti torbidi vissuti da bambini e dare senso e corpo all’irrappresentabile per renderlo rappresentabile. Nel procedere del dialogo aprono il loro teatro interiore e, sulla trama dei ricordi riesumati, come in un vero e proprio insight, inscenano fotogramma dopo fotogramma la violenza subita dentro le mura domestiche. Nel labile confine tra trauma e realtà, reso con la nuvola di fumo che invade il palcoscenico per tradurre in un linguaggio visivo e iconico la rivelazione del rimosso, è però il corpo ferito e offeso dei due attori ballerini a rendere magistralmente la riattualizzazione del trauma.
La parola cede alla danza
Lo scacco della parola incapace di rappresentare il presimbolico cede alla danza. L’espressività dei gesti, variando come in un sabba ancestrale ritmo e intensità, ha così la possibilità di raffigurare il caos emotivo, passaggio obbligato per scoprire una verità rimossa. In un incalzare drammatico e con umorismo sovversivo Gisèle Vienne si misura con il non detto e il non dicibile, per mostrare l’ipocrisia, il vizio, le violenze, spesso avvolti dal segreto, da legami ambigui dove amore e odio parlano la stessa lingua. Lo spettatore è proiettato in una dimensione di “rêverie” bioniana, in cui i contorni temporali cadono e può seguire il processo interiore compiuto dai protagonisti per ottenere la libertà e ripensare un futuro insieme.
L’ idioma visivo scelto dalla regista coreografa aiuta ad arrivare a una presa di coscienza attraverso l’abisso, e il palcoscenico diventa lo spazio delle possibilità non gerarchiche, capace di aprirsi a diverse combinazioni. Così immobilità o corse folli dei danzatori danno vita a universi che non sono possibili simultaneamente; esse sono la risposta a una visione della realtà non predefinita che dà l’emozione di un accadere dove gli eventi si annodano e si sciolgono, senza un significato testuale a priori. Con queste premesse il testo teatrale smargina i suoi contorni, e il probabile, il virtuale, il possibile e l’attuale si confondono nelle acque grigie dell’incertezza, portando lo spettatore a riempire gli elementi mancanti della struttura narrativa. Inoltre, il registro drammatico alternato a quello di rivolta dà tono a una gestualità in grado di evocare frammenti slabbrati del trauma.
Teatro come luogo collettivo per soddisfare il bisogno di spiritualità
In un palcoscenico fantasmatico sono le vittime senza voce a trovare la forza per riportare a galla la parte oscura che informa tutte le relazioni interumane, anche quelle intime e parentali. Viene meno però il perno attorno a cui costruire una trama intelligibile e il teatro assume la funzione di luogo collettivo per soddisfare il bisogno di spiritualità che —secondo la stessa Vienne— la laicizzazione dello spazio pubblico ha relegato nella sfera delle scelte personali. In Extra life l’artista si interroga sul ruolo e sul posto di una violenza non manifesta, sulla quale ogni spettatore potrà compiere le proprie proiezioni.
Gli spazi scenici di Gisèle Vienne, costituiscono, infatti, un veicolo per soddisfare questo essenziale bisogno di una dimensione spirituale collettiva, essi non rappresentano l’attualizzazione di una storia accaduta ad altri, ma come scrive Bernard Vouilloux: «le potenzialità delle nostre esistenze, il loro stato di finzioni potenziali». B. Vouilloux Palcoscenici fantasma Gisèle Vienne Shelter Press, 2020; Traduzione di Edoardo Lazzari, Nero 2022., p. 55
La regista e coreografa
Gisèle Vienne è un’artista franco-austriaca, coreografa e regista. Dopo essersi laureata in Filosofia, ha studiato presso la scuola di burattini Ecole Supérieure Nationale des Arts de la Marionnette. Negli ultimi 20 anni, il suo lavoro è stato in tour in Europa ed è stato regolarmente esibito in Asia e in America ta i quali, I Apologize (2004), Kindertotenlieder (2007), Jerk (2008), This is how you will disappear (2010), LAST SPRING: A Prequel (2011), The Ventriloquists Convention (2015) in collaborazione con la Puppentheater Halle e Crowd (2017). Nel 2020, ha creato con Etienne Bideau-Rey (@etiennebideaurey) una quarta versione di Showroomdummies presso il Rohm Theater Kyoto, originariamente del 2001.
Nel 2021, ha realizzato il film Jerk e creato L’Etang, basato sul racconto breve di Robert Walser Der Teich. Gisèle Vienne ha esposto frequentemente le sue fotografie e installazioni in musei tra cui il Whitney Museum di New York e il Centre Pompidou di Parigi. Il suo lavoro ha portato a varie pubblicazioni e la musica originale dei suoi spettacoli a diversi album.