L’idiota di famiglia Sartre / Essay / Rassegna: Contemporanea / Da qualche tempo al mattino mi sveglio presto, quando le prime luci dell’alba filtrano dalla serranda alzata, perché non amo l’oscurità fitta, la tenebre assoluta, il guscio nero della tana. Mi piace aspettare il trascolorare del cielo. È in questa zona franca, di confine tra il giorno e la notte che i pensieri mulinano in libertà. Non c’è il fare quotidiano, né il riposo, il sonno, il sogno, ma quello stadio intermedio di revèrie.
Allora prolificano i pensieri, i ricordi, le parole, in un monologo interiore che si fa dialogo o discorso, dove più voci si sovrappongono. «Le parole sono le cose» dice Jean-Paul Sartre. Ma le cose sono anche parole che tappezzano l’anima e mi sento l’arredatrice di me stessa. E allora sorge la domanda che da sempre inseguo: «Che cosa si può conoscere dell’uomo?». Dell’uomo in generale o di me o dell’Altro da me?
Sartre sostiene che il salto tra l’essere biologico programmato dall’istinto e l’essere pensante è la differenza. Non esiste soggetto se l’essere pensante non si differenzia dalla sua natura biologica, non riconosce l’altro dentro di sé, nel suo intreccio di bisogni, passioni, istinti.
Le origini della letteretura moderna secondo Sartre
In un suo saggio, considerato il suo testamento spirituale, in cui tratta delle origini della letteratura moderna, il filosofo tratteggia la figura dell’idiota, dell’idiota di famiglia, impersonandolo in uno dei maggiori autori della letteratura: Gustave Flaubert.
Sarà una provocazione? No, è proprio così. Lo scrittore è proprio Flaubert, di cui Sartre ripercorre minuziosamente le tappe che conducono dall’idiozia alla manifestazione del genio. Addentrandosi nelle vicende di una storia familiare, tipica del tempo, il filosofo indaga i segni e le ragioni del “ritardo mentale” del bambino che diventerà uno scrittore geniale. Flaubert era un secondogenito, un cadetto e quindi già prima di nascere privato del privilegio, riservato al fratello, di impersonare i miti e le aspettative familiari. Per di più era un bambino lento ad apprendere e impossibilitato a intraprendere la brillante carriera del padre, medico e intellettuale di chiara fama. Sartre usa espressioni forti per descrivere lo scrittore bambino: «idiota di famiglia», «figlio bastardo», «escluso», «cane d’appartamento», quasi a volere rimarcare la sua deficienza.
Il segreto dell’arte di Flaubert è la sua idiozia
Cosa vuol dire? Il filosofo trae spunto da queste notazioni biografiche per mettere a fuoco il segreto dell’arte di Flaubert, cioè della sua capacità di rivoluzionare l’arte del romanzo: è la sua idiozia, ossia il suo essere «fuori» dal mondo e il suo poterlo nominare e rappresentare con parole e con idee «non ricevute». Vedere, dunque, il mondo con gli occhi di chi gli appartiene solo in parte (o perché non ne afferra il senso o perché coglie l’incolmabile scarto tra sé e l’Altro) permette di andare oltre la superficie e la pura parvenza delle cose.
Non voglio fare l’elogio dell’idiozia in un mondo pervaso dal pressapochismo, dalla insulsaggine, dalla pretenziosità e dalla vanagloria, dove la mediocrità non è più aurea e dove l’aggettivo più inflazionato è “vero” quasi che l’artificiosità e la finzione abbiano pervaso tutto e tutti. Essere veri è diventata la qualità per eccellenza come a esorcizzare il pericolo che l’uomo si de-umanizzi, diventi un misero clone di se stesso, un prodotto seriale.
Ma qui il lemma idiota ha una diversa accezione. Gustave non è un animale parlante, ma uno che non parla perché scarsamente avvitato e compartecipe dell’universo del discorso. È, quindi, dotato di una parola apparente, cioè ripetuta senza comprensione del suo senso. Sartre mette in risalto la differenza tra atto e gesto, dove il gesto non è altro che l’atto decaduto, il gesto è la macchina.
Ma la parola è turno conversazionale, chi parla lo fa innestandosi nelle parole dell’altro e la stupidità è l’incapacità di distinguere tra significato e senso contestuale e di conseguenza è essere incapaci di atti conversativi.
Come può un idiota diventare un genio?
La domanda che sorge spontanea è: come può un idiota diventare un genio? E perché parlare di un caso unico, se non eccezionale? In realtà Sartre tratteggia la biografia dello scrittore, presentandola come emblematica di un percorso di soggettivazione.
L’idiozia di Gustave fa tutt’uno con il suo destino di scrittore di genio, lo preserva dal rischio di conformarsi all’ambiente (familiare e sociale) che impedisce al soggetto di manifestarsi come tale. Nella sua posizione di secondogenito non è obbligato a ricevere l’eredità paterna (a questo penserà il fratello maggiore, per sua fortuna, più dotato!) non ha una strada già tracciata da percorrere. Nato dopo due altri figli, morti prematuramente, è accudito senza amore della madre che avrebbe desiderato avere una figlia. La sua mancanza di doti naturali e la sua lentezza nell’apprendere fanno di lui un escluso, ospite nella sua stessa casa, ma estraneo a una famiglia che vanta una tradizione illustre.
È lasciato a vegetare in un non luogo, si nutre così del desiderio di scomparire e disfarsi, di diventare oggetto. Ma a un tratto scopre la possibilità di uscire dall’empasse e di entrare a far parte di quella stessa comunità che lo aveva escluso. Scopre l’idiozia e riesce a riderne, anzi si industria a smontare la realtà, a metterne a nudo i congegni nascosti, smaschera i riti, ne rileva la insulsa vacuità. Si appropria di un linguaggio non mimetico per demistificare convenzioni e modi di vivere.
il segreto dell’effetto straniante della sua scrittura
Qui sta il segreto dell’effetto straniante della sua scrittura: nella possibilità di vedere le cose senza l’intermediazione altrui e nel rifiuto di usare un linguaggio ricevuto da altri. Gustave impara quanto sia difficile e doloroso colmare questo scarto tra sé e l’altro. Giunge così alla personificazione e diventa un soggetto attraverso un percorso tragico che lascia tracce indelebili nella sua esistenza. Tra le fessure del silenzio affiora una parola che fa risuonare la domanda: Che cosa si può conoscere dell’uomo?
Il saggio di Sartre sollecita delle riflessioni sull’idiozia. L’idiozia di Gustave consiste nel suo essere poco avvitato nell’universo del discorso, per lui le parole sono rumori parlanti, e il linguaggio gli si impone nella sua materialità sigillata.
A nessuno è precluso di diventare soggetto
All’origine della stupidità c’è dunque la fede, come fede e appropriazione delle parole dell’altro. Possiamo dire che è originaria, in quanto fino dall’infanzia siamo presi in un rapporto di fiducia e di dipendenza da un altro che ci nutre e ci protegge.
Siamo in balia delle parole degli adulti, siamo soggetti a quella prassi, prodotti, per rimbalzo. Quando si entra a fare parte della società è l’opinione pubblica come grande macchina della parola a forgiarci e così ci indigniamo, desideriamo, abbiamo timori secondo l’Altro. Il soggetto della prassi, l’operatore della macchina è “soggetto”, cioè sottoposto a essa. È doloroso a volte tragico lo strappo che ci permette di riconoscere l’Altro che parla dentro di noi.
Sartre pone un’importante questione di metodo nel tracciare il percorso di soggettivazione che porta il piccolo Flaubert a diventare uno scrittore. È la questione ineludibile del rapporto tra determinismo e libertà, una questione etica che non può essere aggirata con spiegazioni fondate su relazioni di causa e effetto. Ci possono essere tracciati tortuosi e erratici, ma a nessuno è precluso di diventare soggetto, cioè padrone a casa sua e non palcoscenico vuoto dove altri recitano… a soggetto!