Da ora in poi sei un’altra persona: Voci da Gaza / Essay / Rassegna: Contemporanea / Ala’a Sbaih è una giovane poetessa e attrice palestinese che abita nella Striscia di Gaza. Fa parte della compagnia teatrale di Progetto REC @progettorec.palestina (di cui abbiamo parlato in questo articolo). Una sua lirica è stata tradotta in italiano da Pina Piccolo e pubblicata su Carmilla. La potete trovare qui: Nella sinfonia del crepuscolo.
Su richiesta dell’autrice, pubblichiamo il suo articolo, tradotto in italiano. L’originale in inglese è disponibile su We are not numbers: From now on, you are another person.
Editing a cura di Philip Metres, traduzione dall’inglese di Manlio Manalese.
Mentre lottavo con l’idea di rinunciare ai miei sogni, mi è capitato di guardare gli episodi finali di Maid, su Netflix. Quella serie è stata benefica per la mia psiche, perché la protagonista stava affrontando i miei stessi dubbi. E proprio mentre lei coronava il suo sogno di essere ammessa all’università, io venivo selezionata per entrare nella compagnia teatrale di Progetto REC. Un progetto che offriva a giovani palestinesi come me l’opportunità di scrivere e confezionare uno spettacolo teatrale. Ho considerato questa coincidenza come l’evento che avrebbe dato una svolta alla mia vita.
Infatti, la mia aspirazione è da sempre stata quella di scrivere una sceneggiatura cinematografica e questa sembrava un’occasione eccezionale per imparare qualcosa di più sulla drammaturgia. Ero al settimo cielo. Ogni giorno lavoravo al nostro copione. Ho avuto anche la fortuna di incontrare persone che hanno saputo ispirarmi e alle quali mi son legata con amicizia profonda.
Uno di loro, in particolare, era un ex studente, alto e snello, con spessi occhiali neri. Abraham Saidam, soprannominato: ‘l’uomo della puntualità’, perché non saltava mai un incontro! La prima volta che mi sono seduta accanto a lui, avevamo il compito di tratteggiare la scheda personaggio dell’eroe della nostra pièce teatrale. Eravamo gli unici, nel gruppo, a volere un finale drammatico e ricordo bene che la prima cosa che ci siamo detti è stata: «Il protagonista deve morire». Durante le nostre lunghe discussioni o le sessioni di scrittura assieme, ho scoperto che avevamo molti interessi in comune.
Entrambi grandi cinefili, spesso ci sorprendavamo a fantasticare sull’idea di aprire un nostro brand. L’avevamo battezzato A’s, la lettera con cui iniziano i nostri nomi e cognomi. Volevamo stampare i fotogrammi e le citazioni dei nostri film preferiti su magliette e altri capi di vestiario, per condividere il gusto e lo stile che ci contraddistingue. Abraham era il cameraman del nostro gruppo e il suo più grande sogno era quello di girare un film. Un giorno, gli ho confidato che volevo realizzare un cortometraggio dal titolo Il Vuoto dell’Amicizia. Avevo già scritto la sceneggiatura e chiesi ad Abraham se voleva aiutarmi a girarla. L’idea gli piaceva, così concordammo che avremmo iniziato le riprese durante il nostro viaggio in Italia, previsto in ottobre. Il progetto REC, infatti, prevedeva una tournée del nostro spettacolo teatrale nel Bel Paese.
Una volta mi disse: «La tua testa è piena di idee molto diverse tra loro e riesci a esprimerle tutte contemporaneamente, questa è una cosa positiva». Era proprio quanto mi stava succedendo in quel momento; ero così immersa nel mio nuovo lavoro e nell’organizzazione del viaggio in Italia che stavo impazzendo per la pressione di tutte le idee che mi mulinavano in testa!
Abraham mi ha confortata per ore e mi ha aiutato a compilare la domanda per il visto. Quando abbiamo finito, lui è tornato a lavoro e io sono tornata a casa. Tuttavia, poco dopo ho ricevuto una telefonata che mi informava che c’era un errore sulla data del volo, così ho chiamato Abraham per comunicarglielo. Mi sono precipitata nel suo ufficio, ma lui aveva già corretto la data.
Quel giorno, per la distrazione, ho stampato anche i suoi documenti necessari per il visto. Lui mi ha chiesto di tenerli come ricordo. Il primo ottobre 2024 alle 15:00 in Al Wahda Alfien Street è stata l’ultima volta che l’ho visto. «Ciao», mi ha detto, «ci vediamo a Milano».
Il 7 ottobre mi sono svegliata eccitatissima! Dovevo uscire a fare shopping con un amico per comprare il necessario per il viaggio, sarebbe stata la mia prima volta fuori da Gaza. Volevo che fosse tutto perfetto. Ero un po’ nervosa, perché dovevo ancora chiedere al mio capo tre settimane di ferie e avevo iniziato a lavorare solo da cinque settimane.
Poi, d’improvviso, i suoni dei missili hanno lacerato l’aria. Il mio cuore ha cominciato a battere all’impazzata. Ora potevo pensare solo alla guerra. Odio le guerre. Sono ancora visibili le cicatrici delle ultime due, e riprendono a sanguinare ogni volta che se ne scatena una nuova.
Per un attimo avevo creduto di essere sul punto di vivere la vita sempre desiderata: un lavoro, gli amici che amo tanto, andare in Italia per portare il nostro spettacolo in cinque città diverse e iniziare a girare il mio film. Ma in questa vita, la guerra, la maledetta guerra azzera ogni desiderio.
Non avrei mai immaginato di perdere uno degli elementi più brillanti della compagnia teatrale, la persona più ambiziosa e appassionata che abbia mai conosciuto. Abraham rispettava le donne più di ogni altra cosa, amava sua sorella più di ogni altra cosa, ci faceva ridere con i suoi ricordi d’infanzia, ma nei suoi discorsi faceva spesso capolino la morte. Era, insomma, l’eroe della nostra pièce. A contrasto con le sue ambizioni e con il duro lavoro, ripeteva sempre: «Non c’è nulla di meglio della morte».
È suo il monologo: Casa, composto per il protagonista, il personaggio che aveva deciso di interpretare, e ora capisco quanto ogni singola parola fosse imbevuta di significato per lui. Quando ho appreso della sua fine tragica, mi è subito venuta in mente l’ultima frase proferita sul palco, prima delle morte del suo personaggio: «.أنت منذ الآن غيرك» «Da ora in poi, sei un’altra persona».
Dopo il 7 ottobre, non saremo più le stesse persone di un tempo. Abraham amava Gaza e voleva girare molti film per raccontare la sua storia e le tante storie che la attraversano. Ha sempre desiderato la pace e odiato la guerra. Quello che resta di lui sono momenti e ricordi bellissimi. Niente di ciò che Abraham e io volevamo ha avuto compimento, nemmeno la pièce teatrale per cui stavamo lavorando, il suo personaggio è morto prima della tournée italiana.
Dall’inizio di questa guerra, la mia famiglia è stata smembrata. Mio padre non è con noi, le mie sorelle sono evacuate a Sud, così tutti i miei amici. Sento la loro dolorosa mancanza. Non posso vederli o parlare con loro per la cattiva connessione internet. Vivo un momento di profondo sconforto, l’assenza della volontà di esistere è tutto quello che possiedo. Ogni mio pensiero è impregnato di morte. Penso solo a quali saranno le mie ultime parole. Mi risuonano le domande: morirò per un missile? Per la paura? Per la fame, o, per il dolore?
Ho deciso di tacere e in questo modo la fiamma delle mie domande e delle mie paure si smorza. Vivo giorno dopo giorno, destandomi e abbandonandomi al sonno.
Poi scrivo:
Nella sinfonia del crepuscolo, nella danza di ombre e luce fugace,
percorro i corridoi della mia anima, nel silenzio della notte, cercando conforto
imploro il cielo, chiedendo se sarà questa la mia ultima scrittura terrena.
Risuona un appello silenzioso e l’arazzo cosmico interroga:
Perché ad alcune anime è dato, con la morte, danzare nella miriade delle sue forme?
Nell’immensa distesa dell’esistenza, sfugge lo scopo,
Un intricato mosaico di domande, ricucito con i fili di “perché la morte?”.
Nel regno in cui la vita è implacabile prova,
anelo il giorno in cui troveranno la loro redenzione i “perché”.
Quando tento di afferrare l’essenza dell’esistenza,
gli echi della guerra lasciano impronte indelebili, una firma cupa,
che ad ogni nuova alba si fonde con i mille ricordi di ieri.
Danza con le ombre diviene la sopravvivenza, testimone del riflusso di vite.
Forse il mio stesso riflesso ho intravisto, nelle eteree acque della mortalità.
Eppure, sotto il peso dei dilemmi esistenziali persiste una fragile speranza:
una promessa sussurrata nella brezza che in questo tumultuoso viaggio coesiste
nella cadenza del battito cardiaco, il delicato ritmo dell’intricato canto della vita
racchiude frammenti di finalità, sfuggenti, ma innegabilmente forti.
Quindi, che scorra pure l’inchiostro dell’inchiesta, mentre continua a scrivere
la penna dell’esistenza nell’arazzo che unisce alba e oscurità.
Poiché nell’enigma di questa vita caduca, lo spirito di resistenza tesse
la resilienza poetica che ti sussurra: “Continua a vivere”, percepita dall’anima,
nel momento in cui sono rimandati tutti i dolori.
Di Ala’a Sbaih, traduzione di Pina Piccolo
Scrivere è la sola cosa che dà equilibrio ai miei pensieri, anche se è difficile, è tutto ciò che posso fare.