Paolo Riva / Attore / Intervista / Una vita per la recitazione

Paolo Riva / Arti Performative / Cinema / Interviste / Con l’intervista all’attore Paolo Riva (20 aprile 1966, Milano) Ɐ Revolt Magazine inaugura una serie di articoli dedicati al cinema italiano a basso budget. Al fondo della nostra scelta editoriale c’è la missione di portare a galla l’arte sommersa e cosa c’è di più sommerso —ci chiediamo— della cinematografia senza quattrini?

Il suo nome non dirà molto al grande pubblico, ma sulla scena dei filmmaker milanesi è ormai un attore di culto. Paolo Riva non diserta un solo casting e vanta una filmografia che per minutaggio complessivo farebbe impallidire Danny Trejo (Machete), uno degli attori più prolifici di Hollywood. Ha attraversato il cinema più istituzionale di Pupi Avati, Marco Tullio Giordana e Silvio Soldini, ma si presta a piccole produzioni come The Lady di Lory Del Santo, Holocaust party in accoppiata con il controverso Andrea Diprè o i saggi di fine anno di registi in erba. 

         

Cortometraggi, sketch televisivi, documentari, ruoli comici e drammatici, film horror o di fantascienza, non manca niente al suo ponderoso curriculum, frutto di un bisogno ancestrale di calcare ogni set, di avere sempre  addosso l’occhio della telecamera. Attore talmente amato (ma anche odiato) che in suo onore hanno fondato un fan club nelle Filippine e, da Bloodbuster @bloodbuster_milano (storica videoteca/libreria sul cinema di genere), occhieggia una sua fotografia autografata. 

La passione è ciò che contraddistingue Paolo Riva.  Il cinema per lui è questione vitale e lo ha spinto a sacrificare tutto alla recitazione cinematografica.  Niente gli procura scariche  serotoninergiche, come il rumore del Ciak. Paolo vive in funzione di  questo  sogno, e come nel viaggio dell’eroe di Christopher Vogler, nel suo sentiero non sono mancati ostacoli e travagli. Trova sempre, però, la forza di rialzarsi perché non valuta la possibilità di cambiare strada, in quanto ha puntato tutte le chips del banco su un unico traguardo: diventare un attore riconosciuto. I  desideri  per Paolo Riva  non sono negoziabili, costi quel che costi!

La prima volta lo incontro in un bar gestito da cinesi in zona San Siro. In una saletta defilata uno sparuto gruppo di anziani gioca a briscola e devo contendermi con loro l’attenzione di Paolo, rapito da questa scena d’altri tempi. D’improvviso, trascorso qualche minuto, i suoi occhi mobili si acquietano, dismette la maschera da attore, e si racconta senza omettere niente, compresi i momenti di maggiore difficoltà, approfittando dell’occasione anche per togliersi qualche sassolino dalle scarpe… 

Paolo Riva alla Biennale di Venezia con il film Fuori Concorso Uno di noi (2018)
Paolo Riva alla Biennale di Venezia con il film —Fuori Concorso— Uno di noi (2018) di Luciano Silighini
Tu hai dichiarato di non fare l’attore, ma di essere un attore. Come hai scoperto questa tua vocazione? 

È stata una sorpresa anche per me. Una scoperta tardiva, perché nella mia vita precedente facevo tutt’altro, mi ero laureato in economia e commercio. Ho fatto innumerevoli lavori, ho lavorato in albergo, mestiere che tra l’altro mi è servito molto per gestire le relazioni con il pubblico, poi ho fatto l’elettricista, il venditore ambulante, anche questa è stata un’esperienza formativa, però non ero mai davvero soddisfatto. Pensavo che sarei diventato la cosiddetta persona per bene, con un lavoro stabile, una famiglia… Mio padre mi aveva esortato a studiare economia per trovarmi un buon impiego. Ma c’è una frase di Steve Jobs che mi ha segnato… 

Anche tu vittima di  ‘Stay hungry, stay foolish’? Steve è pericoloso… ne ha rovinati diversi

Rovina solo quelli sprovvisti di coraggio e a me non manca! Comunque, diceva: bisogna fare qualcosa che piace nella vita, un lavoro che piace. Timbrare il cartellino per accreditare lo stipendio a fine mese non faceva per me. Non mi ci vedevo tra quegli uomini ingrigiti che parlano solo di calcio, si fanno due settimane di ferie a Cesenatico e l’aperitivo il venerdì sera, pensavo, ci deve essere qualcosa di più. Poi ho scoperto la mia passione, per caso. Ho partecipato ad alcune recite parrocchiali, è stata un momento di svolta, come nelle sceneggiature.

Ero una persona estremamente timida ma quando ero sul palcoscenico mi sentivo un leone. Ero investito dall’energia del pubblico e se mi capitava tra le mani un microfono me lo magnavo, come avrebbe detto Alberto Sordi. Erano rappresentazioni amatoriali, ma mi hanno fatto capire che avevo i tempi giusti, una buona inventiva, notavo la differenza con gli altri interpreti che lo facevano solo per svago. Presto ho sentito un bisogno irrefrenabile di confrontarmi con altri attori che ci sapessero fare, con attori veri. Il dado era tratto, avevo trovato la mia strada.

Di lì a poco mi proposi per un primo casting per il film Il Vangelo secondo precario (2005) di Stefano Obino, fui subito scelto. È stato il mio battesimo del fuoco, avevo 37-38 anni. Da quel momento non ho più smesso di essere un attore. C’è stata solo la pausa forzata del Covid. Se una persona è determinata e ha talento non resta con le mani in mano.

Paolo Riva in Scemi di Guerra. La follia nelle trincee (2008) di Enrico Verra
Paolo Riva in Scemi di Guerra. La follia nelle trincee (2008) di Enrico Verra
Tu hai partecipato a un film quasi mitologico in cui il protagonista convince una donna che ha perso la memoria di essere suo marito, non ricordo il titolo e so che non è stato ultimato. Ma si dice che il regista per realizzarlo abbia venduto la sua edicola. Ho ammirazione per queste persone che rischiano tutto per inseguire i propri sogni. Anche tu saresti disposto a farlo? 

Ho sacrificato tutto. Non puoi fare questa scelta di vita in altro modo, ti devi lanciare senza paracadute. Se ottieni il successo di Favino, puoi stare tranquillo, ok, ma per quelli come me —diciamo a metà di un percorso— non ancora arrivati, è una lotta costante. Certo, ci sono alcuni miei colleghi che hanno un altro lavoro, uno stipendio sicuro e di tanto in tanto si prestano alla recitazione, sono gli attori della domenica. Ma non avranno mai la mia stessa motivazione.

Io quando recito ho il sangue negli occhi, la garra. Perché so di non avere niente, devo farcela per forza. Questa “fame” distingue un attore, chi veramente è attore, da un amatore. Chi lo fa per gioco, non prova la mia sofferenza, non mangia il pane duro, non sperimenta la miseria. Ci sono stati momenti della mia vita in cui ero davvero uno spiantato. Non avevo niente. Ho rinunciato a viaggiare. Ho rinunciato alle serate con gli amici. Non potevo uscire con una ragazza e offrirle un caffè. Devi credermi ho attraversato momenti bui e difficili, ma non mi è pesato, perchè il mio sogno è così importante che sono disposto a pagare qualsiasi prezzo. 

E i tuoi familiari ti hanno sostenuto?

Non hanno mai approvato questa mia scelta, te l’ho detto, mio padre sperava di vedermi sistemato in banca. Mia madre è anziana, una donna un po’ all’antica. Adesso comincia a rassegnarsi all’idea che suo figlio è un attore, ma fa fatica a comprendere davvero la mia vocazione. Ricordo che una volta, per caso, mi ha visto in televisione su MTV. Recitavo in uno sketch con Maccio Capatonda e venivo schiacciato dentro un ascensore. Lei mi ha rinfacciato che mi sarei dovuto vergognare di fare certe cose. Adesso per fortuna è meno ostile, ha capito quanto ami questo mestiere. La cosa curiosa è che il cinema l’ho scoperto grazie a lei. Da bambino passavo molte ore a guardare in sua compagnia quelli che definiva i bei film, come Gilda con Rita Hayworth e Glenn Ford, quei capolavori in bianco e nero di una volta. 

Hai dovuto rinunciare anche alla tua relazione per inseguire il sogno del cinema.

Sì, avevo una compagna, stavamo insieme da tanti anni. Nell’ultimo periodo le cose tra noi andavano male. Era quel frangente in cui stavo realizzando di non essere una persona adatta a un certo tipo di vita, sedentaria, monotona, sicura. Lei voleva farsi una famiglia, aveva bisogno di stabilità e questo ci ha inevitabilmente portati alla rottura. È stato traumatico perché l’ho sorpresa con un altro. Ma in fondo mi aveva già posto di fronte a un aut-aut, o lei o la mia aspirazione di fare l’attore. Io penso che se qualcuno ti chiede di rinunciare a quello che ami non ti vuole davvero bene. Quando l’ho realizzato non è stato difficile decidere.

Credo che anche il suo tradimento abbia favorito quella scelta. Ma se non ti avesse tradito?

Non posso rinunciare a essere quello che sono, un attore. Certo è stata una scelta sofferta, avevamo condiviso un progetto di vita per nove anni, ma avrei comunque scelto la recitazione. La cosa curiosa è che ultimamente l’ho rivista. Durante un funerale. Era con suo marito e faceva finta di non riconoscermi. Io sono andato loro incontro, lei era molto imbarazzata, il marito al contrario era amichevole. Io non sono una persona che porta rancore, so perdonare e ho cercato di essere cordiale. Dopo quel breve scambio mi sono sentito come un gabbiano che vola in cielo. Felice. Perchè sento di non avere rimpianti o crediti con il passato. 

Hai studiato recitazione o sei un autodidatta?

Voglio essere sincero fino in fondo con te. Nei primi curricula scrivevo di aver fatto accademie e workshop ma la verità è che mi sono formato sul campo. La mia è stata una gavetta durissima, ma sono contento di questo. Ho letto le biografie di alcuni dei più grandi attori, e sono in tanti a non aver frequentato una scuola di recitazione. Chessò John Wayne o anche Humphrey Bogart. Pensa, John Wayne era un elettricista, l’hanno notato, era un ragazzone aitante, è così è iniziata la sua sfolgorante carriera. 

È vero che esiste un fan club in tuo onore nelle Filippine?

Sì. Lo ha fondato Jacinta Divas, una mia estimatrice. Se non sbaglio il fan club ha sede a Cebu, una meravigliosa isola tropicale. È gente ospitale e di buon cuore. Hanno realizzato numerosi gadget, per esempio una t-shirt rossa con la mia faccia, un po’ maoista, poi un ombrello, quando lo apri ti rendi conto che sulla copertura di stoffa è stampata una mia gigantografia, e una di quelle tazze che se riempite con un liquido caldo rivelano un’immagine nascosta, ovviamente una mia foto. Ci sono anche un paio di mutande maschili con il mio volto, per rinvigorire gli uomini con la mia energia virile! Oggetti di questo genere, buffi, naturalmente. Ma nella vita bisogna avere sempre una buona scorta di ironia.

Cosa significa per te recitare?

Recitare mi porta in un’altra dimensione. In un altro mondo. In quel mondo in cui non esiste il brutto, non esiste la sofferenza o la miseria umana. In quel mondo in cui sono felice. Oppure, per citare Hitchcock, quel mondo in cui non ci sono momenti di noia. Quando reciti, anche le cose all’apparenza brutte si trasformano in cose belle, perché il caos è regolato. Anche in quei film con omicidi e morti cruente hai la sensazione che un ordine supremo riesca a concatenare tutto alla perfezione esorcizzando la malvagità che viene dal disordine.

Paolo Riva / Attore
Paolo Riva / Attore
Marlon Brando in una celebre intervista con Dick Cavett ha dichiarato che la recitazione è un meccanismo di difesa. Tutti recitiamo perché è una dote istintiva, necessaria e primordiale. Naturalmente come per la caccia o per la lotta ci sono persone più o meno predisposte. 

Sono perfettamente d’accordo. Ti faccio un esempio, per raggiungerti ho preso il tram. Mi si avvicina una persona che ha voglia di chiacchierare. Ha un alito pestilenziale. Io le sorrido e l’ascolto con attenzione, faccio anche dei cenni con la testa di assenso, ma dentro di me provo solo disgusto. Ho dovuto recitare perché non volevo ferire questa persona che aveva piacere di conversare con me. Dovevo indossare una maschera. Tutti quanti recitiamo di continuo. Non siamo mai liberi dai nostri ruoli neanche quando siamo soli con noi stessi.

Stai sorridendo e fai segni di assenso anche con me. A microfono acceso, ti prego di testimoniare che l’intervistatore ha un alito fresco, al sapore di eucalipto. 

Non ti ho sentito. Comunque ho la mentina. Vedi che mi porto sempre le mentine?

Te ne prendo una. 

Comunque, per concludere, per me recitare è tutto. È la vita stessa. Io non riesco a immaginare la mia vita senza la recitazione. Anche quando passeggio catturo tutti i tic, il modo di muoversi o di parlare delle persone e non vedo l’ora di poterli sperimentare in una scena. Quando torno a casa, mi fermo sempre a osservare una mensola che custodisce tutto il mio mondo. I DVD e i VHS dei miei film preferiti. La collezione di Nero Wolfe del ‘69, ‘70 e ‘71 della Rai, con il grandissimo, ineguagliabile Tino Buazzelli.

Quando le cose mi girano male e sono sopraffatto dai guai, nei momenti più tristi della mia vita, come quando ho dovuto affrontare la malattia dei miei cari, torno a casa e mi fermo a contemplare quella sfilza di film, e penso sì c’è… c’è qualcosa per cui vale la pena di vivere. C’è bellezza nel mondo e io —un giorno— spero di poter fare qualcosa di altrettanto bello. 

Quali sono i tuoi riferimenti attoriali?

Sono un amante del cinema classico, la Hollywood degli anni d’oro e anche dei vecchi sceneggiati della Rai. Io stesso mi ritengo un uomo del passato. Dopo quegli anni strepitosi,  il cinema è entrato in una lenta agonia e ora possiamo dire che il Mammut è stramazzato al suolo. Tra gli attori che più amo sicuramente annovero Humphrey Bogart. Il mistero del falco, capostipite dei noir e degli hardboiled è tra i miei film preferiti. O, anche, Casablanca dove Humphrey, piuttosto basso di statura, recitava sopra delle scatole per essere alla stessa altezza di quella stangona di Ingrid Bergman.

Sono piccoli dettagli che fanno intuire l’umanità dei grandi attori, oltre che la magia del cinema. Altri attori che stimo sono Cary Grant e James Stewart. Ma tra gli attori dei nostri giorni ti direi Christoph Waltz. Il suo Hans Lada in Bastardi senza gloria è un compendio di buona recitazione. Riesce a essere a un tempo suadente e terribile, ed è quello che cerco di fare anch’io con i miei personaggi. 

E tra gli italiani?

Ti direi Alberto Sordi che ho avuto il privilegio di conoscere. Era stato premiato con il Telegatto. Ovviamente era impossibile avvicinarsi, era letteralmente assediato dalle persone. Io però volevo conoscerlo a tutti i costi. Così ho deciso di aspettarlo fino alle due di notte davanti al Grand Hotel et de Milan dove albergava. Quando mi ha visto mi ha detto: e tu che ci fai qua? Quando gli ho confidato che sognavo da anni di conoscerlo mi ha abbracciato. È stato un momento che non dimenticherò mai. E poi, il grande Gino Cervi quando arrivava sul set non sapeva la parte a memoria, studiava prima del ciak. Credo sia un ottimo metodo perché in questo modo risulti più spontaneo e fresco.

Che ne pensi di Klaus Kinski? Penso che potrebbe essere un buon riferimento per te. Non fosse altro per la radicalità con cui lui e Werner Herzog si sono consacrati al cinema. Anche per loro era, letteralmente, questione di vita o di morte. Durante le riprese di Aguirre furore di Dio il regista arrivò a minacciare di uccidere Kinski e se stesso, quando l’attore espresse la volontà di abbandonare il film.

Kinski era un po’ pazzo, ma è stato certamente un grande attore. Mi è piaciuto in Nosferatu. Peccato per il make up, si vedevano le chiazze bianche sul volto e facevo fatica a lasciarmi trasportare. Di sicuro, di Kinski apprezzo la capacità di arricchire i personaggi, con le sue intuizioni. È qualcosa che faccio anch’io. Mi piace molto improvvisare davanti alla camera. Non sopporto quei film dove il regista mi chiede di dire buongiorno e buonasera, fai così e colà, senza darmi la possibilità di aggiungere del mio. A volte sei costretto a fare cose così scialbe, ma io so che posso dare molto di più! Ed è così frustrante. 

Paolo Riva e il Mago Forest / GialappaShow (2023)
Paolo Riva e il Mago Forest / GialappaShow (2023)
Facendo qualche ricerca su internet ho trovato il canale Facebook di Stefano Falotico —Joker Marino— sembra quasi che tra di voi sia in corso una specie di Dissing in stile Tupac e Notorius. O sono canzonature bonarie?

Lui è una vecchia conoscenza di Bologna. Ci ha presentati un amico comune, Walter, spiccicato a Groucho Marx, che fa il proiezionista a Carpi. Stefano è molto particolare, molto creativo Entrambi ci divertiamo a imitare Carmelo Bene o Robert De Niro, sai tipo la scena di Taxi Driver. Ci sono queste schermaglie, ma senza cattiveria. Una volta mi ha sfidato dicendo che se davvero volevo assomigliare ai miei miti di Hollywood dovevo imparare l’inglese. Così ho registrato una scena in inglese, tedesco e spagnolo e gliel’ho spedita. Non se l’aspettava e per un po’ non si è fatto vivo. Con quel video in cui dice che il grande attore Paolo Riva è morto, mi ha allungato la vita (si riferisce a questo video ndr). Sono tra coloro che sostengono: parlate anche male di me, basta che ne parlate. 

Ci tieni a precisare che sei del segno dell’Ariete, presumo che tu creda nell’oroscopo? 

Il 20 aprile è un giorno in cui sono nati tanti personaggi caratterizzati da una grande voglia di fare. L’ariete è il segno di una persona ‘fattiva’. Però non mi intendo davvero di queste cose, non bado molto all’oroscopo… 

E non sei nemmeno scaramantico? Si sa che gli attori hanno sempre mille superstizioni, è quasi un cliché ormai, tipo i boxer con fantasia di quadrifogli che Colin Farrell indossa il primo giorno di set

No, niente del genere. La superstizione a me sembra un insulto all’intelligenza umana. Fai conto che sui set io passo sempre sotto le scale, ci passo e ci ripasso. Una volta un elettricista mi ha chiesto perché continuassi a passare sotto la scala. Gli ho risposto: per verificare che non mi succeda niente. In compenso credo in Dio. È lui a infondermi il coraggio e la forza per andare avanti. Non i boxer con i quadrifogli.

In più occasioni hai raccontato del tuo amore per la Milano di un tempo, ti consideri un  nostalgico?

Senza dubbio. Mi mancano soprattutto i cinema di una volta, quelli immersi nella fitta cortina di fumo di sigaretta. Ero un habituè del cinema Minerva, che a dispetto del nome mitologico era un’infima sala di Porta Romana. Avevano la prima, la seconda e la terza visione e proiettavano cappa e spada e film di Kung fu, ma non quelli con Bruce Lee come L’Urlo di Chen, le copie prodotte senza una lira, tipo: L’Urlo di Chin Chong.

Eppure, pur con le sue ingenuità, era un mondo più autentico la gente aveva più rispetto per il prossimo. Anche per quel che riguarda la sfera sentimentale mi considero un uomo d’altri tempi. Sono romantico e penso che l’amore sia per sempre. Non abbiamo mica la scadenza come il latte. Però, so di essere in minoranza. Sono come l’orca assassina, destinato a estinguermi… Anzi come il moa, un animale che già non esiste più.

Paolo Riva in una scena della serie "A Shooting Vice" (2013-2014) di Ivan Brusa
Paolo Riva in una scena della serie A Shooting Vice (2013-2014) di Ivan Brusa
Ti racconto un piccolo aneddoto, forse è solo una leggenda, mi hanno raccontato che durante la realizzazione del cortometraggio horror Zombie Connection di Marco Magni eri così nella parte che in alcune scene tiravi veri calci ad altri tuoi colleghi. Sei tra i sostenitori del Metodo Stanislavskij? Come ti prepari alla parte?

Ma quale Stanislavskij, su quel set mi menavano tutti di continuo. Ricordo anche un’attrice che mi ha mollato un manrovescio in pieno volto, ma per cosa mi avevano scambiato, per un sacco da boxe? Dopo un po’ mi sono girate a mille e ho cominciato a restituire le pedate. Io non credo nel Metodo. Lo ha detto anche Marlon Brando che pure ha studiato con Lee Strasberg, se avesse capito prima che per recitare non bisogna fare altro che fingere, non avrebbe perso tempo con tutte quelle tecniche. Se io devo interpretare un senzatetto non ho bisogno di passare una settimana sul marciapiede sotto casa a farmi venire i duroni e le piattole.

Cosa pensi dello stato di salute del cinema low budget italiano? 

Penso che chi ha davvero voglia di fare ha la possibilità di realizzare i suoi film anche se con pochi mezzi. Tanti non si buttano perché ritengono che senza soldi non sia possibile fare niente di buono. Ma Kubrick diceva che per fare un film serve soprattutto una buona dose di pazienza.

Kubrick ha girato con le lenti della Nasa, penso che senza budget non avrebbe fatto nemmeno i filmini delle vacanze. Però sono d’accordo con te, una buona idea può sopperire alla povertà dei mezzi. E poi il cinema low budget ti consente una libertà espressiva che il cinema più istituzionale si sogna.

Sì, ci sono straordinarie potenzialità, infatti, non credo che il problema del Cinema Low Budget sia la mancanza di denaro, piuttosto la mancanza di gratitudine. Spesso ci si presta a lavorare gratis e uno si aspetta in cambio almeno un po’ di rispetto. C’era questo regista, per esempio, che sosteneva che gli attori andassero trattati male. Oppure, all’inizio della mia carriera, durante una rappresentazione teatrale, un regista —alcolista— mi ha accusato di starnazzare come una gallina, l’ho mandato al diavolo perché accetto tutto ma non la maleducazione.

Questo è il caso di due perfetti idioti. Dovrebbero imparare la lezione di Vittorio De Sica, capace di fare recitare anche i sassi, che  diceva: gli attori vanno amati. O ancora, ho partecipato a un cortometraggio che si intitola La vita è un sogno, ero il protagonista assoluto, il film era incentrato sul mio personaggio. La pellicola ha avuto un discreto esito e ha circuitato parecchio per festival. Alle presentazioni il regista non mi ha mai mensionato, neanche per sbaglio. Ti pare possibile? Questo dovrebbe essere un mondo dove si collabora, dove ci si aiuta a vicenda.

Paolo Riva / Attore
Paolo Riva / Attore
Anche nel cinema più istituzionale però hai raccontato di qualche episodio spiacevole. In particolare ricordo un aneddoto su Ermanno Olmi

È difficile trovare una persona che sia davvero coerente. Avevo grande ammirazione per Olmi. Era uno straordinario regista, Il mestiere delle armi, L’albero degli zoccoli, La leggenda del santo bevitore, tutti film eccezionali. E poi a giudicare dalle interviste e dalle sue dichiarazioni mi ero fatta l’idea che fosse anche una persona di sani principi, insisteva sempre sull’importanza di aiutare i giovani e di dare a tutti un’opportunità. Un giorno lo incrocio davanti al Piccolo Teatro, e incoraggiato dalle sue parole mi propongo per recitare in un suo film. Gli porgo il mio curriculum. Come si dice, ho lanciato il cuore oltre l’ostacolo. Lui non lo ha voluto prendere sostenendo che non avrebbe più fatto film. Io ho insistito, non si sa mai, ma lui continuava a dire: non farò più niente! Niente! E alla fine, innervosito ha gettato via il curriculum. Dopo quella sera ha fatto altri quattro film. 

Insomma, questo mondo che ami ti ha dato anche tante amarezze

È inevitabile quando si ama qualcosa, si è più vulnerabili. Ma io vado avanti senza farmi grandi crucci.  Ci sono tanti idioti che pensano di ferirmi, sbeffeggiandomi, che mi domandano quando mi metterò a girare un film porno. Come a dire che non sono un vero attore, che sono buono solo per piccolissime produzioni e non ho possibilità di sfondare nel cinema che conta. Purtroppo in giro c’è tanta cattiveria gratuita e invidia. Io ho tanti difetti, ma non l’invidia, anzi sono felice di poter riconoscere il talento degli altri. Semmai cerco di imparare qualcosa. Poi, naturalmente, in tanti anni ho conosciuto anche persone che stimo molto, con cui ho stretto meravigliosi legami di amicizia.

Ti sei mai cimentato nella regia?

Ho realizzato un cortometraggio, Valentino, ispirato alla vita del grande Rodolfo. L’idea credo fosse buona, ma in parte ridimensionata da un budget inesistente, comunque è stata una bella esperienza. Quando sarò vecchio proverò a sperimentarmi di nuovo come regista. Per il momento preferisco concentrarmi sulla recitazione. 

Paolo Riva / Attore
Paolo Riva / Attore
Ritieni di essere stato compreso come attore? 

Assolutamente no. I casting li fanno quasi esclusivamente basandosi sull’aspetto. Io ho un viso un po’ spigoloso, duro e mi propongono solo ruoli da cattivo. Io vorrei che mi dessero la possibilità di dimostrare quanto io possa essere duttile, in grado di spaziare tra i ruoli più disparati. Senza falsa modestia, ritengo di essere molto bravo nei casting. Arrivo preparato, recito i miei monologhi, una volta me ne hanno fatto recitare tre, ho proposto anche una scena di Pulp Fiction.

Non mi hanno preso anche se il provino è stato eccezionale. Se, tu regista, cerchi un’altra fisicità è un conto, ma a livello di recitazione so che posso tenere testa a chiunque. Ricordo che una volta sono stato scartato a uno dei tanti provini a cui avevo partecipato, fui sorpreso perché era andato molto bene. A distanza di qualche giorno, incontro per caso una ragazza che lavorava in quella produzione e che per arrotondare faceva la cassiera alla Rinascente, la avvicino e le chiedo perchè non mi avessero preso, mi ha risposto: perché il personaggio ha un altro colore degli occhi. Ti rendi conto? 

C’è un grande regista del passato, tra l’altro italiano, che sicuramente mi avrebbe compreso. Sergio Leone. Il decoupage dei suoi film è meraviglioso. Specie i dettagli sugli occhi nella trilogia del dollaro, e ancora di più in Giù la testa. Mi sono rimasti impresse le espressioni di ​​Rod Steiger e di James Coburn. Scene solo di sguardi, senza dire una parola, eppure di una efficacia drammatica impareggiabile. Sono sicuro che Leone dava ai suoi attori la libertà di esprimersi. Questa dittatura del regista sul set è deleteria e a volte sembra solo una questione di principio. Tu fammi provare, poi se non ti convince tagli in montaggio, no? Penso che ci sarà un giorno che avrò la mia rivalsa. Sarò più conosciuto e avrò maggiore voce in capitolo, per il momento devo subire questa tirannide.

Sei soddisfatto degli obiettivi raggiunti o non ancora?

Sono solo all’inizio

Ma hai iniziato vent’anni fa 

Sì e ti confermo che sono solo all’inizio. Ancora devo dimostrare tutto. Non sono mai soddisfatto e cerco sempre di migliorarmi. Nel cinema che conta per ora ho fatto solo piccole parti, anche se i registi con cui ho lavorato hanno spesso espresso apprezzamenti per il mio lavoro. Ma arriverà il giorno in cui i miei sforzi saranno ricompensati.

C’è qualche film al quale non parteciperesti più?

Direi di no. Ho sempre imparato qualcosa in tutti i set, anche quando ho lavorato con Diprè. Però, ripensandoci c’è un film al quale tornando indietro non avrei partecipato. In montaggio hanno inserito una scena snuff, recuperata in chissà quale schifoso antro del web. Quando l’ho visto mi ha davvero lasciato di stucco. Non volevo assolutamente associare la mia immagine a qualcosa del genere. Credimi, mi sono sentito male.  Quando sai che è vero cambia tutto. Per me non c’è niente di più sacro della vita umana, non potrei fare del male a nessun essere vivente, neanche a una pianta. Sono un uomo di pace. E con i miei film voglio dare qualcosa di bello agli altri. In questo mondo marcio c’è bisogno disperato di bellezza. Ma sì, questa è l’unica eccezione.

Paolo Riva e Gloria Zona alla presentazione del film Libera
Paolo Riva e Gloria Zona @thesimplyglory alla presentazione del film Libera (2018) di Luciano Silighini
Hai paura del futuro?

No. Sarò incosciente, ma sono sempre ottimista. Sin da quando ho intrapreso questa avventura, non ho mai avuto dubbi. Mi dà conforto anche la mia fede in Dio. Io la vita la vivo all’arrembaggio. Anche oggi venendo qua, mi son detto,  cadesse il mondo, voglio fare questa intervista. È un impegno. Non mi piace procrastinare. Non puoi mai dire cosa succederà. Se puoi farlo adesso, fallo.

Dovresti fare il testimonial della Nike! Comunque sono d’accordo con te. 

E ti dico di più, non solo non ho paura del futuro, sono in pace anche con il passato. Non ho rimpianti, se non che mi sarebbe piaciuto scoprire prima la mia vocazione, come Alberto Sordi che l’ha trovata già a diciassette anni. Ho messo a fuoco tardi chi ero davvero. E poi mi dispiace che mio padre sia morto prima che potessi dimostrargli il mio valore. Non lavorerò mai in banca, come sperava, ma sarò un attore apprezzato. Sono certo che potrà guardare i miei film dal cielo.


A seguire un video di Backstage dal film Uno di noi diretto da Luciano Silighini in cui Paolo Riva interpreta Silvio Berlusconi

Simon Gusman
Simon Gusman
Viaggiatore compulsivo. Per molti anni ha vissuto in Chiapas dove ha conosciuto il Subcomandante Marcos. Al momento vive a Granada.

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