Poesia Concreta / Essay / Rassegna: Contemporanea / Un’introduzione: Mallarmé, Gomringer, Max Bense.
Ɐ Revolt Magazine è lieta di pubblicare un articolo a cura della redazione di Letters not Literature @letters_not_literature firmato dal direttore della rivista Matteo Spaggiari.
La poesia concreta nasce come approccio alle specifiche problematiche relative al linguaggio, emerse durante gli anni ’50 e ’60.
Per i primi sperimentalisti di questa corrente poetica, il linguaggio non è più considerato il mezzo per descrivere un evento, uno stato o persino un pensiero, ma diviene esso stesso l’obiettivo e il tema della poesia.
La poesia concreta non utilizza la funzione del “referente” linguistico, ma l’essenza tridimensionale del messaggio viene ripartita tra strumento fonetico, visivo e vocale. L’atto poetico consiste, sostanzialmente, nella creazione di un oggetto percepibile mediante mezzi linguistici, rifacendosi al concetto nietzschiano del mondo come fenomeno estetico. Il termine “concreto” in senso hegeliano viene così definito come l’opposto di un concetto astratto, il quale implica solamente se stesso.
L’opera concreta è, dunque, una realtà non simbolica. Le singole parole costituiscono l’obiettivo del testo; ne diventano puri messaggi estetici, i quali vengono sì trasmessi attraverso il linguaggio, ma in un modo nuovo. La posizione grafica è, infatti, determinata in base alla posizione fonetica e alle strutture linguistiche: il significato di una parola non è più determinato dalle strutture grammaticali e sintattiche di un testo lineare convenzionale, ma queste strutture vengono sostituite dalla disposizione sulla superficie della pagina.
Max Bense ha contribuito con illuminazioni significative alla teoria della poesia concreta arrivando a concepire il poema come schema o sistema linguistico che favorisce relazioni visive e superficiali, rendendo possibile la simultaneità di funzioni semantiche ed estetiche legate alle parole, in modo che significato e struttura si esprimessero reciprocamente.
Scrisse, infatti: «La poesia concreta non intrattiene. Contiene la possibilità del fascino, e il fascino è una forma di concentrazione, ovvero di concentrazione che include la percezione del materiale così come la ‘appercezione’ del suo significato».
Nel suo “tallose berge”, ad esempio, rende omaggio alla città di Rio de Janeiro limitandosi a soli quattro lettere (r-i-o-n). Utilizzando metodi architettonici e onomatopeici, crea un’immagine visiva e suggestiva delle montagne intorno a Rio. Le prime poesie concrete, antecedenti a Bense, erano costituite da arrangiamenti geometrici, simmetrici e pittorici, e venivano presentate come forma d’arte visiva, manifesti e persino come lavoro di performance e di sonoro.
Uno dei poeti più influenti della prima generazione fu il poeta svizzero-boliviano Eugen Gomringer, importante soprattutto per determinare le connessioni tra questo particolare mondo della poesia, e quello più convenzionale, letterario. Infatti nelle sue composizioni (come Silencio) egli pratica un uso audace dello spazio bianco della pagina, interrotto dall’insieme ordinato del testo.
È evidente l’omaggio diretto al lavoro di Mallarmé, Un coup de dés jamais n’abolira le hasard. L’esagerazione tipografica del drammaturgo parigino era stato, all’epoca, il primo tentativo di imporre lo spazio bianco della pagina come elemento compositivo: l’autore porta nel ‘testo’, così, un ulteriore piano illusorio, che provoca una forte riduzione di leggibilità della parola scritta, fino alla sua massima semplificazione in scarno motivo tipografico. Lo spettatore è costretto – sia letteralmente che metaforicamente – a leggere tra le righe. La disposizione deliberatamente illeggibile rende il libro di Mallarmé una narrazione naturalistica, oppure, all’opposto, figurativa. Mallarmé, in conclusione, mette in crisi la distinzione tra rappresentazione pittorica e rappresentazioni eseguite con le parole.
Questo sarà il germe che porterà alla nascita della poesia concreta e di tutte le altre poesie sperimentali che Adriano Spatola, nel suo Verso la poesia totale, definisce come tendenti – per l’appunto – alla ‘totalità’.
La convinzione di Mallarmé che il testo potesse essere manipolato come effetto speciale visivo è in contrasto con molti usi autorizzati del linguaggio, ponendosi al di fuori dell’istituzionalità della lingua. Dove la parola è semplice grafo, ecco che diventa rivoluzionaria: non è più agente per la conservazione della conoscenza – eterna ripetizione cultu(r)ale -, e neppure strumento per la “illuminazione” dell’individuo; si ritrova, insomma, svincolata in modo definitivo e irrecuperabile dal lirismo, dall’io, dall’umanesimo, dai rigurgiti tardo-romantici, dal genio, dal mistico e, finalmente, dal suo significato.