Fascino Fascista – Susan Sontag vs. Leni Riefenstahl – Etica ed estetica nell’arte / Essay / Rassegna: Contemporanea / Quando ammiriamo un’opera d’arte, ci troviamo di fronte a un bivio: valutare esclusivamente la sua bellezza o considerare anche la caratura morale del suo autore?
Non si salva nessuno
Si sa, Caravaggio era un assassino e un fuggiasco; Fëdor Dostoevskij era un antisemita; Virginia Woolf una classista che maltrattava le domestiche (e se le sue colpe sono state in parte emendate è solo per le sue posizioni femministe, anche se a favore di sole donne bianche e privilegiate); Il tribunale del #metoo ha già destinato Woody Allen al girone dei lussuriosi sbatacchiato dalla tormenta infernale in compagnia di Paolo e Francesca; per non parlare del misogino e machista Pablo Picasso, secondo solo a Cristoforo Colombo per la misura del disprezzo e dell’antipatia che gli riservano i militanti della Cancel Culture.
E, restando in Italia, basti pensare all’avanguardia italiana di gran lunga più significativa: il futurismo. Per molti anni è stata bistrattata a causa del suo impianto ideologico, e perché considerata, a torto, l’arte del regime fascista (che in realtà le preferiva espressioni di “moderna classicità”, secondo il gusto di Margherita Sarfatti). Iniziative come la recente mostra Arte e Fascismo al Mart di Rovereto (da un’idea di Vittorio Sgarbi e a cura di Beatrice Avanzi e Daniela Ferrari) o la splendida Post Zang Tumb Tuuum del 2018, presso la Fondazione Prada del compianto Germano Celant, hanno avuto il pregio di valorizzare l’opera di grandi artisti, non considerati quanto avrebbero meritato, a causa del loro sistema di valori e dell’appartenenza politica.
Insomma, tutti sono giudicati con gli occhi dell’oggi e questo screening moralista, al cui confronto i sermoni di Girolamo Savonarola paiono indulgenti scaramucce, non ha risparmiato proprio nessuno, nemmeno Mahatma Gandhi.
Un dibattito senza tempo
Questo duello tra etica ed estetica nell’arte non è certo una novità. Già Platone, nella sua Repubblica, si interroga sul ruolo dell’arte nella società, temendo che la sua imitazione della realtà possa corrompere le anime. Secoli dopo, Immanuel Kant, nella sua Critica della facoltà di giudicare, distingue tra “giudizio estetico”, basato sul piacere disinteressato, e “giudizio teleologico”, che valuta l’opera in base alla sua utilità morale.
Nell’arte contemporanea, la questione si complica ulteriormente. Opere che affrontano temi controversi come la violenza, la sessualità o i tabù religiosi mettono a dura prova la nostra sensibilità e il nostro senso del giusto e dello sbagliato. Provocazioni artistiche che sfidano le norme sociali o che sconvolgono l’ordine costituito spingono gli spettatori a confrontarsi con questioni etiche complesse.
Tuttavia, è proprio in questa capacità di scuotere le coscienze e di farci riflettere su questioni etiche che risiede il vero potere dell’arte. Come sostiene la filosofa americana Martha Nussbaum, l’arte può «nutrire la nostra immaginazione morale», aiutandoci a sviluppare empatia e comprensione per gli altri.
Leni Riefenstahl
Un’artista che esemplifica questo complesso, e talvolta ambiguo, rapporto tra etica ed estetica nell’arte è la fotografa e regista tedesca Leni Riefenstahl. Una figura controversa legata a doppio filo al regime nazista. Celebre per i suoi film di propaganda monumentali come Il trionfo della volontà (1934) e Olympia (1938), dotata però di uno straordinario talento e capace di influenzare la storia della cinematografia.
Rilasciata dagli Alleati nel 1945, Riefenstahl si è vista negare l’accesso all’industria del cinema per anni. In questo periodo si è dedicata alla fotografia, pubblicando nel 1956 il libro fotografico The Last of the Nuba (1974), frutto di un viaggio nel Sudan meridionale. L’opera, incentrata sull’omonima tribù, dove gli aitanti ufficiali ariani sono rimpiazzati da guerrieri africani ancora più aitanti, ottenne un grande successo e contribuì a riabilitare parzialmente la sua immagine.
Tuttavia, le ombre del suo passato non l’hanno mai abbandonata. Nel 1965, la pubblicazione di alcune sue memorie scatenò nuove polemiche, riportando alla luce documenti che confermano la sua sostanziale adesione al Terzo Reich sempre, peraltro, da lei negata.
Fascino Fascista di Susan Sontag
Proprio negli anni in cui la Riefenstahl stava cercando di riabilitarsi come esteta apolitica fu dato alle stampe il celebre articolo Fascino fascista (1974) contenuto nella raccolta di saggi Sotto il segno di Saturno, della filosofa e storica americana Susan Sontag. Il testo esplora il paradosso per cui alcune forme d’arte, pur intrinsecamente legate a regimi totalitari e abominevoli, esercitino un fascino irresistibile. La scrittrice statunitense analizza il potere estetico di simboli e immagini nazisti, sottolineando come la loro forza comunicativa risieda nella capacità di evocare emozioni intense, di esaltare il corpo e la bellezza fisica, creando un senso di comunità e di appartenenza.
Sontag non nega l’orrore del nazismo, ma evidenzia come la propaganda nazista abbia saputo sfruttare abilmente il potere dell’arte per i propri fini. Ed è proprio la regista Leni Riefenstahl, figura centrale nel saggio, a incarnare perfettamente questa ambiguità. Le sue opere mostrano una maestria tecnica innegabile, esaltando la potenza estetica, ed erotica, del corpo umano e la grandiosità delle masse naziste.
Elementi chiave che contribuiscono al fascino del fascismo secondo la Sontag
Stile e teatralità: Il nazismo ha saputo curare attentamente la propria immagine pubblica, utilizzando simboli, rituali e uniformi per creare un’estetica grandiosa e imponente. Questa enfasi sullo stile ha contribuito a trasmettere un senso di potere, ordine e unità.
Culto del corpo e della bellezza: La propaganda nazista celebrava il corpo umano in tutta la sua bellezza e potenza. Immagini di atleti ariani perfetti e di giovani donne avvenenti erano diffuse per promuovere l’ideale di razza superiore.
Senso di comunità e appartenenza: Il nazismo offriva un senso di appartenenza e di identità collettiva a una comunità immaginaria. I rituali di massa, i canti patriottici e la retorica nazionalista contribuivano a creare un forte senso di coesione tra i membri del partito e i sostenitori del regime.
Estetica del sacrificio e del martirio: Il nazismo esaltava l’eroismo e il sacrificio per la patria. Immagini di soldati in battaglia e di martiri nazisti erano diffuse per ispirare il coraggio e la dedizione alla causa.
Susan Sontag, insomma, riconosce il fascino di queste immagini, pur denunciando il loro pericolo intrinseco, ossia il potere di normalizzare e rendere accettabile ciò che è inaccettabile. L’opera d’arte, secondo la studiosa, non può essere esaminata in un vuoto etico. La moralità dell’artista e il messaggio trasmesso dall’opera sono elementi imprescindibili per una valutazione completa.
La polemica tra Susan Sontag e Adrienne Rich
In definitiva, la Sontag, pur riconoscendo i meriti artistici, prese posizione contro la Riefenstahl, tra l’altro contraddicendo quanto sostenuto nel suo saggio forse più famoso Contro l’interpretazione (1966), di ispirazione Barthesiana, in cui affermava il primato dell’opera di per sé, sull’autore. Ciò nonostante l’articolo Fascino Fascista suscitò accese polemiche. In particolare, Adrienne Rich, poetessa e saggista femminista, accusò Sontag di minimizzare l’orrore del nazismo. Nel saggio In Response to Susan Sontag (1975), sostenne che l’estetica nazista non era altro che una maschera per nascondere la violenza e la brutalità del regime e che manifestare apprezzamenti per la qualità filmica delle sue pellicole di propaganda avrebbe significato esserne complici.
Rivendicare il diritto ad amare le opere belle degli artisti cattivi
Gli anni che stiamo vivendo sono caratterizzati da un’ondata di moralismo senza precedenti. Le (sacrosante) battaglie condotte dal movimento Woke, sempre più spesso degenerano nella furia iconoclasta della Cancel Culture, a riprova di quanto sia difficile mantenere una capacità critica nel contesto storico di profonda crisi e polarizzazione in cui viviamo. All’insegna del dogma dell’inclusività può essere sacrificato chiunque, non sono stati risparmiati alcuni “campioni” della letteratura, come Richard Wright o Agatha Christie colpevoli di aver adoperato la parola “negro” (anche se all’epoca era d’uso comune e senza colorazioni razziste) e con loro tutti gli artisti la cui biografia si discosti troppo dai valori e dalle norme comportamentali dei nostri giorni.
La ragione di questo sdegno, tuttavia, non va ricercata in un’incapacità di contestualizzare, ma nel desiderio di dare sfogo a una rabbia troppo a lungo repressa, una rabbia che ha bisogno di bersagli facili, che più sono in alto, più rumore fanno quando sono schiantati a terra. Perché il fine ultimo è mettere in discussione tutto il sistema, ivi compresi, i suoi principali ispiratori, i suoi simboli, la sua storia.
Oggi sembra non esserci più spazio per il pensiero critico di una intellettuale come Susan Sontag, che sì, riconosce le responsabilità personali dell’autore, senza però che questo giudizio le impedisca di valutare l’opera che ha realizzato, buona o cattiva a prescindere dalle qualità morali.
La domanda che sorge spontanea a questo punto è: dovremmo sentirci in colpa se apprezziamo opere di artisti cattivi?
Insomma, possiamo apprezzare i film e le fotografie di Riefenstahl, nonostante la sua collaborazione con il nazismo? Abbiamo il diritto di amare l’opera di Umberto Boccioni anche se era un convinto interventista? Le poesie di Pound? I quadri di Emil Nolde? I romanzi di Louis-Ferdinand Céline?
Il bene morale non coincide con la bellezza
Il bene morale non coincide con la bellezza. Un’opera non veicola necessariamente un messaggio morale, e quando lo fa, questo non per forza è condiviso dal suo autore.
Leni Riefenstahl nel tentativo di dimostrare la sua estraneità a intenti propagandistici, durante un’intervista affermò di sentirsi «spontaneamente attratta da tutto ciò che è bello. Sì: bellezza, armonia. E forse questa cura per la composizione, quest’aspirazione alla forma è, a tutti gli effetti, una particolarità tutta tedesca. Ma non so esattamente come descriverla. È qualcosa che viene dall’inconscio, non dalla mia consapevolezza… Cosa vuole che le dica? Tutto ciò che è puramente realistico, scorci di vita, tutto ciò che è mediocre, ordinario, non mi interessa… Io sono affascinata da ciò che è bello, forte, sano, vivo. Cerco l’armonia. Quando si produce armonia sono felice. Credo, con questo, di averle risposto».
A dispetto degli sforzi profusi per pulire la fedina, la sua adesione al Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori, così come la sua personale amicizia con Hitler e Joseph Goebbels, non possono esserle condonate. Ma questo non toglie che sia stata una grande cineasta e una grande fotografa. Come ben sintetizza Susan Sontag, «L’arte non è un lusso, è una necessità». E proprio in questa necessità di confrontarci con l’arte, anche con quella che ci disturba o ci sconvolge, risiede la possibilità di crescere come individui e come società.