Valerie Solanas La donna che ha scritto SCUM Manifesto (e ha quasi ammazzato Andy Warhol) / Essay / Rassegna: Figlie di Boadicea / Quello di Valerie Solanas, scrittrice e artista americana, è un nome sconosciuto a molti, sebbene Valerie Solanas sia un’eminente figura del femminismo radicale. Per la cronaca è anche la donna che ha quasi ammazzato Andy Warhol. E il 3 giugno 1968 quando, da distanza molto ravvicinata, spara all’alfiere della Pop Art e al suo collaboratore Mario Amaya. Un episodio che sconvolgerà l’esistenza di Warhol (sopravvive, ma non si riprenderà mai dal trauma) e della stessa Solanas, la cui vita prenderà la china tragica di un personaggio di Euripide o forse di Tarantino.
Ma Solanas non è solo la “donna pazza” che ha quasi spedito al creatore il buon Andrew Warhola Jr., è anche l’autrice del controverso Manifesto SCUM – Society for Cutting Up Men / La società per l’eliminazione degli uomini (che analizziamo in dettaglio QUI) un trattato politico di femminismo radicale che propone lo sterminio di tutti i maschi, soluzione efficace quanto estrema per emancipare la donna dalla propria condizione subalterna (Valerie decisamente non è per le mezze misure).

Valerie Solanas, una figura trascurata dalla critica
Eppure, nonostante l’importanza che la figura di Solanas ha avuto per il femminismo radicale, persino il biopic I Shot Andy Warhol di Mary Harron non fa che fugaci cenni al pensiero dell’artista, concentrando la narrazione quasi esclusivamente sul tentato omicidio. La sua esistenza travagliata, la sua ideologia oltranzista, sono state del tutto fagocitate da un singolo episodio. È il prezzo che si paga quando si decide di uccidere un’icona. Dico bene Mark David Chapman?
Se è stata prestata scarsa attenzione critica alla storia del femminismo radicale nel suo complesso, ancora meno è stata prestata a Solanas, la cui vita è stata per lo più raccontata in relazione alle vite degli altri. È una comparsa —un po’ fuori di testa— tra le tante figure rivoluzionarie che hanno modellato gli anni ’60. È menzionata brevemente nei libri di Jacqueline Rhodes, Alice Echols e Barbara Crow. Una sua —tra l’altro breve e imprecisa— descrizione si trova nella biografia di Warhol del 1999, scritta da Bob Colacello. Ma c’è poco altro. Unica eccezione degna di nota è la biografia di Breanne Fahs, Valerie Solanas. Vita ribelle della donna che ha scritto SCUM (e sparato a Andy Warhol) e non è un caso se, sin dal titolo, il fatto di cronaca che ha dato celebrità all’artista, è relegato alla fine della frase, tra due parentesi.
La biografia su Valerie Solanas di Breanne Fahs
Alla Fahs va riconosciuto di aver condotto un’indagine approfondita sulla vita e sul pensiero di Solanas, adoperando una mole impressionante di documenti. Nell’introduzione, infatti, rivendica di aver dovuto setacciare:
«…polverose riviste di sinistra come Holy Titclamps e DWAN, trascrizioni di conversazioni vecchie di vent’anni, ritagli di giornale, riviste d’arte fai da te, sceneggiature di Hollywood, appunti recuperati dall’ufficio di un medico legale, messaggi nella segreteria telefonica registrati a metà, discussioni in appartamenti pieni di gatti, foto sfocate, rievocazione di ricordi ancora più sfocati, telefonate, fascicoli mancanti, invettive di femministe radicali che hanno acquisito una rinnovata autocoscienza, lettere e cartoline ingiallite, registri dei diritti d’autore della Biblioteca del Congresso, scontri con l’élite di Warhol, appunti di riunioni in ristoranti che non esistono più, poster con il dito medio, opuscoli e newsletter dimenticati da tempo».
Utilizzando queste fonti, che è un eufemismo definire eterogenee, Fahs riesce a imbastire una cronologia (per quanto approssimativa e piena di buchi) dei cinquantadue anni di vita di Valerie Solanas, partendo dall’infanzia difficile, proseguendo con i rapporti altalenanti con il movimento femminista, fino al sopraggiungere della malattia mentale che l’ha costretta a trascorrere molti anni in strutture psichiatriche.
Questo essay propone alcuni passaggi salienti del corposo volume di Breanne Fahs, utili a raccontare, per sommi capi, la vita di questa complessa, talvolta contraddittoria, artista americana.
L’infanzia e la giovinezza
Valerie Solanas nasce nel 1936 a Ventnor City, una cittadina costiera dello stato di New Jersey. Un diner affacciato sulla strada principale, il molo, la spiaggia e poco altro da offrire. La sua è una vita segnata da profonde sofferenze. Cresce, infatti, in un ambiente familiare disfunzionale, dove subisce le attenzioni moleste di un padre allupato che non sa tenere le mani al loro posto. Con queste premesse anche a me sarebbe balenato il pensiero di sterminare ogni maschio sulla faccia della Terra, compresi quelli che hanno fatto voto di castità. Al colledge scrive per il giornale studentesco alcuni editoriali denunciando la discriminazione femminile, e già da queste prime testimonianze si può riconoscere lo stile tagliente e corrosivo, senza peli sulla lingua che caratterizzerà la successiva produzione. In quegli stessi anni, dà alla luce, in segreto, due bambini. Della serie: Mater semper certa est, pater numquam.
Formazione
Nonostante le dolorose esperienze che hanno avvelenato la sua adolescenza, Valerie, nel 1958, riesce a conseguire la laurea in psicologia all’Università del Maryland. In seguito, prende a frequentare anche un master all’Università del Minnesota. Purtroppo, le sue aspettative di affermarsi in questo campo devono fare i conti con l’ostracizzazione del dipartimento universitario, neanche a dirlo a maggioranza maschile. Indignata dallo strisciante maschilismo, abbandona il programma dopo solo due semestri.
Interrotta la sua formazione, si reca prima a Berkeley (che in quegli anni è la culla dei figli dei fiori che, spinello alle labbra e chitarra a tracolla, protestano contro la guerra in Vietnam) poi a New York, quella fetida e piena di vita di Taxi Driver. Nella Grande Mela, bazzicando soprattutto Greenwich Village, cerca di avviare una carriera da scrittrice e drammaturga. Inizia a frequentare altri artisti e in particolare la Factory di Andy Warhol, ma a lei non basteranno quindici minuti di celebrità.
Perennemente in bolletta, spesso costretta a dormire per strada, Solanas conduce una vita di espedienti, tra prostituzione e piccole truffe, esclusivamente ai danni di uomini (dopotutto, si è sempre considerata una donna di sani principi).
Up Your Ass
Nel 1965, a ventinove anni, scrive la sua prima opera teatrale Up Your Ass (In culo a te), che propone a Warhol. Il testo è incentrato su Bongi Perez, una lesbica, prostituta e truffatrice, con un pedigree da vera canaglia. In tutto è per tutto l’alter ego di Valerie. A riprova del profondo disprezzo che l’autrice nutre per il genere maschile, c’è un breve scambio nella pièce in cui un tizio dice a Bongi «Immagino tu faccia qualsiasi cosa», e lei risponde, «Beh, niente di troppo ripugnante: non bacio mai gli uomini».
Bongi esprime una sessualità ambigua, proprio come Solanas che talvolta si definisce omosessuale talvolta asessuale, sebbene, occasionalmente, sia andata a letto con qualche maschio gratuitamente. La protagonista dell’opera nel suo paradossale viaggio dell’eroe, si confonde nella strampalata fauna metropolitana della New York di quegli anni tra: drag queen, anziani sporcaccioni, casalinghe disperate e prostitute senza un quattrino. Up your Ass si può considerare a pieno titolo il predecessore letterario del Manifesto SCUM. I due testi condividono lo stesso linguaggio sovversivo e, soprattutto, la stessa idea di fondo: le donne starebbero meglio senza uomini!
Breaking Point
Ed è a questo punto che si verifica il primo episodio in grado di compromettere il fragile equilibrio psichico di Solanas: Warhol perde il manoscritto di Up your Ass che gli è stato affidato per una valutazione (la copia sarà ritrovata anni più tardi nello studio del fotografo Billy Name).
La donna diffida di questa versione e sospetta che si tratti solo di una messa in scena per rubarle la commedia senza pagarla. Per togliersi dagli impicci, Andy la ingaggia per una scena con Tom Baker nel suo film I, a Man (1967) (la parte era stata scritta per Jim Morrison che si è fatto rimpiazzare all’ultimo dal suo drinking buddy Tom). Solanas, anche a causa delle ristrettezze economiche, accetta il ruolo che prevede un compenso di 25$. Nella scena in questione Tom cerca di convincere una ragazza incontrata sulle scale (Valerie) di farlo entrare nel suo appartamento. Solanas improvvisa un’infliata di battute oscene e nonsense come squishy asses “culi appiccicatici”, men’s tits “tette d’uomini” e lesbian instinct “istinto lesbico” (Puoi visionare la scena nel video YouTube incorporato qui sopra, in alternativa vai direttamente QUI). In ogni caso questa breve collaborazione tra Solanas e Warhol non sarà sufficiente a farle smaltire la rabbia che continua a covare in segreto…
SCUM Manifesto
Il turning point nella vita di Valerie Solanas si verifica quello stesso anno, quando, frustrata dalle continue delusioni e animata da un profondo rancore nei confronti della società, inizia a radicalizzarsi sviluppando una visione misandrìca che la porta a elaborare il Manifesto SCUM (di cui parliamo approfonditamente QUI), vale a dire quel pamphlet infuocato che teorizza l’eliminazione totale degli uomini (gendercide maschile) come unica via per liberare le donne dal loro giogo. Secondo Solanas, è necessario «rovesciare il governo, eliminare il sistema monetario, istituire l’automazione completa e distruggere il sesso maschile».
Sono anni di grande indigenza per la scrittrice, che, senza fissa dimora, si trascina dietro la macchina da scrivere Remington da una topaia all’altra quando non è costretta a trovare riparo sotto un ponte. Eppure, scrive come in preda a uno stato euforico e ossessivo, posseduta dal demone dell’ispirazione. Ogni istante è dedicato alla stesura del lavoro più importante della sua vita, per strada, sui rooftop di Manhattan, in qualche albergo per tossici del Lower East Side. Il Manifesto è composto da 11.000 parole al vetriolo, espressione di un odio per gli uomini senza precedenti. Si rivolge a una comunità (fittizia) di donne elette chiamate, appunto, SCUM (feccia in inglese). Sono donne a immagine e somiglianza dell’autrice: vivono in strada, sono reiette, oppresse, sono lesbiche e/o indifferenti al sesso, e sono pronte a tutto.

Le donne SCUM
Secondo Solanas solo questa categoria di donne violente e ai margini, in netto contrasto con le good housewife e le ragazze per bene che preparano manicaretti per i loro mariti e i loro papà (per parafrasare Valerie: «donne che sembrano borse calde con le tette»), possono rovesciare gli equilibri di potere, affossare la moralità imposta dagli uomini e soprattutto sterminare l’intero genere maschile.
Nel suo manifesto non c’è spazio per la politica, le strategie, le azioni dimostrative, Solanas vuole tutto e subito. «SCUM non farà picchetti, proteste, marce o scioperi per cercare di raggiungere i suoi obiettivi», scrive Solanas. «Se SCUM dovesse mai colpire, lo farà al buio con una lama da sei pollici».
Il manifesto è auto-pubblicato e venduto per strada (1$ per le acquirenti donne, 2$ per gli uomini), in un contesto caratterizzato dalla prima grande esplosione della cultura progressista. Sono gli anni di Woodstock, di Jimi Hendrix, dell’omicidio di Martin Luther King Jr, dei pantaloni a zampa d’elefante. Anni in cui emergono i movimenti per i diritti civili e no-war così come le prime organizzazioni femministe. Tuttavia, sono anche gli anni della sitcom Leave It to Beaver (Il carissimo Billy in italiano) o del predicatore evangelico Billy Graham. Tenendo da parte le rock star, gli intellettuali glamour e le comunità di hippy, in larga parte la società continua a incasellare la donna esclusivamente nel ruolo di madre e moglie, subalterna al padre/marito.
Il tentato omicidio di Andy Warhol
La vita è sorprendente, le tante coincidenze che hanno fatto incrociare la strada di uno degli artisti più famosi del ‘900 con quella di una donna sbandata e senza un soldo in tasca ha un che di ironico. Eppure se si guarda il disegno del destino dalla giusta distanza, è possibile riconoscere una logica paradossale: Warhol, con la sua arte provocatoria, mette a nudo i meccanismi del capitalismo e della mercificazione. Solanas, con la sua rabbia, fa qualcosa di simile con il patriarcato. Entrambi, a modo loro, vogliono scuotere le coscienze e far riflettere su una realtà che, nonostante l’apparente benessere, nasconde profonde ingiustizie.
Ma perché Valerie Solanas ha attentato alla vita del grande artista? SCUM, che potrebbe o meno essere l’acronimo di Society for Cutting Up Men / La società per l’eliminazione degli uomini (si tratta probabilmente di un’intuizione dell’editore), è considerato, indirettamente, tra le cause che hanno indotto Solanas a tentare di assassinare Andy Warhol. La scrittrice, infatti, vende i diritti di SCUM alla Olympia Press (fondata da Maurice Girodias); quando l’editore tarda nel dare alle stampe il bellicoso testo, Solanas si convince di aver venduto anche i diritti di Up Your Ass e di un numero imprecisato di opere ancora da realizzare. Per una misteriosa associazione mentale, questa congettura si somma alla convinzione che Andy Warhol (lo stesso che sosteneva di aver smarrito il manoscritto di Up your Ass) sia in combutta con l’editore di Olympia e cospiri contro di lei. Una ricostruzione da imputare probabilmente alla sua crescente paranoia, in seguito le sarà diagnosticata la schizofrenia.

La dinamica dell’attentato
Così il 3 giugno 1968, Solanas va al 33 di Union Square West sale al sesto piano (quarto piano stando alla ricostruzione della canzone di Lou Reed e John Cale, I Believe) e raggiunge gli uffici di The Factory. Con la sua Beretta calibro 32 spara tre volte contro l’artista, colpendolo al ventre, e contro il compagno dell’epoca, il gallerista e critico d’arte Mario Amaya.
Due proiettili perforano lo stomaco, il fegato, la milza, l’esofago ed entrambi i polmoni di Warhol. Tanto che a un certo punto è dichiarato morto, i dottori compiono un autentico miracolo nel rianimarlo. Trascorre due mesi in ospedale, una lunga riabilitazione dovuta agli innumerevoli interventi chirurgici a cui è sottoposto. Inltre, sarà costretto a indossare un corsetto chirurgico per il resto della sua vita per tenere tutti gli organi al loro posto. A Mario Amaya va un po’ meglio ma anche lui dovrà fare i conti con parecchi strascichi.
Dopo essere stata arrestata, Solanas dichiara alla stampa che Wharol aveva troppo controllo sulla sua vita e aggiunge: «Leggete il mio Manifesto e vi dirà chi sono». Ancora non sospetta che il tentato omicidio l’ha sì resa celebre, ma solo come la lesbica squinternata che ha sparato al re della Pop Art, e non certo come l’autrice dell’esplosivo Manifesto SCUM.

Santa patrona della rabbia femminile — senza volerlo
«Alcune vite sono esemplari, altre no; e tra le vite esemplari, ce ne sono alcune che ci invitano a imitarle e altre che consideriamo da lontano con un misto di repulsione, pietà e riverenza», ha scritto Susan Sontag in un saggio del 1963 per la New York Review of Books. «È, più o meno, la differenza tra l’eroe e il santo». Quel 3 giugno del 1968 in cui spara a bruciapelo contro Andy Warhol, Valerie Solanas, senza rendersene conto, intraprende la strada impervia dei martiri. Prendendo a modello la dicotomia illustrata dalla Sontag, possiamo affermare, senza dubbio alcuno che la nostra non ha mai vestito i panni dell’eroina.
Molti anni più tardi, nel 1977, intervistata da Howard Smith per The Village Voice, Solanas dichiara: «Seguo uno standard morale assoluto». «Sono sicuro che non sei una santa», controbatte Smith e lei: «Sì, lo sono. Non imbroglio le persone. Rispetto a te, lo sono assolutamente. Certamente. Oh sì. Puoi scriverlo».
Santa o non santa, di certo è diventata la martire del femminismo radicale, senza che lei, tra l’altro, ne avesse la minima intenzione. Sparare a Warhol non aveva lo scopo di aiutare il movimento, o anche solo di promuovere il Manifesto SCUM, ma di vendicarsi di un, presunto, torto subito. Non cerca di uccidere il più grande artista —maschio— vivente per vendicare miliardi di donne vessate e tenute ai margini, ma perché pretende un tributo di sangue per il suo orgoglio ferito.
Al termine del processo, Valerie Solanas è dichiarata mentalmente instabile e trascorre i cinque anni che seguono in vari istituti psichiatrici, senza mai scontare una pena detentiva. Purtroppo, la sua paranoia non migliora, tanto per dirne una, più avanti si convincerà che la mafia segua ogni sua mossa attraverso un dispositivo impiantato nel suo utero
La celebrità di Valerie Solanas
Olympia Press non si lascia sfuggire l’occasione di capitalizzare il tragico evento, pubblicando ufficialmente il Manifesto SCUM, nell’agosto del 1968. Negli anni successivi, le idee di Solanas guadagnano una certa influenza e come nota Fahs: «il testo di Valerie era diventato quasi una lettura obbligatoria tra le femministe radicali nel giro di pochi mesi dalla sparatoria».
Eppure, Solanas non si è mai considerata la portabandiera di un movimento, ma nient’altro che una scrtittrice e un’artista. Ciò nonostante, il suo gesto è interpretato come un atto femminista puro e semplice. Un’eruzione di rabbia contro il sesso maschile. E sono in molte a considerarla un simbolo del movimento radicale, a cominciare da Ti-Grace Atkinson esponente della National Organization for Women (NOW) che a proposito dell’attentato dichiara: «Finalmente una donna aveva fatto qualcosa che era appropriato ai sentimenti che stavamo provando. Stava reagendo. Ecco cosa si provava».
A questo proposito, Fahs riporta anche le dichiarazioni di Kate Millett, l’autrice di Sexual Politics: «C’era una volta una suffragetta che si è gettata sotto un cavallo ad Ascot nel disperato tentativo di attirare l’attenzione del governo in modo che le donne ottenessero il voto. La sparatoria è stata così. Non penso che significasse che si dovesse andare a sparare a qualcuno per essere coerenti con le tesi di SCUM».

Femminismo radicale
Nel panorama culturale degli anni ’60 e ’70, Solanas non è certo l’unica figura giacobina. In questo periodo irrompe con la forza di un uragano il femminismo radicale. Un movimento esplosivo, iconoclasta, che scuote le fondamenta della società patriarcale con un’ironia graffiante e una rabbia incontenibile.
Basta con le mezze misure, basta con i compromessi! Le femministe radicali non ci stanno più a stare relegate ai margini, a subire discriminazioni e soprusi. Vogliono una rivoluzione vera, che spazzi via il patriarcato e costruisca una società nuova, più giusta e più equa.
Ma come fare? Le ricette sono tante: si va dall’eliminazione degli uomini altogether (e chi se ne frega se poi la specie umana si estingue) del Manifesto SCUM, di cui abbiamo ampiamente parlato, ad azioni più concrete preferite, per esempio, da W.I.T.C.H. (Women’s International Terrorist Conspiracy from Hell), come bombardare i concorsi di bellezza o spalare merda su peep-show, night club e altri locali per squallidi uomini segaioli.
L’Ironia e il sarcasmo sono le armi predilette da molte femministe radicali. Scherzano sul corpo delle donne, lo sdoganano, lo usano come strumento di sovversione. I loro corpi diventano campi di battaglia, dove si combatte contro le imposizioni della società.
Oggi molti di questi movimenti sono criticati per le loro posizioni estremiste e divisive, per la tendenza a una sorta di essenzialismo culturale e per non aver tenuto conto delle differenze tra donne. Ma una cosa è certa: il contributo di questi gruppi e organizzazioni ha avuto un peso non indifferente per le conquiste civili degli ultimi sessant’anni.
Eppure Valerie Solanas non ha mai considerato le femministe radicali, sufficientemente radicali: «sono parte del sistema, non possono quindi sabotarlo né indebolirlo né agire da vere criminali»
Il rapporto travagliato tra Valerie Solanas e il movimento femminista
Il suo rapporto con queste attiviste, per lo più desiderose di aiutarla è ambivalente quando non è apertamente conflittuale. Dopo il tentato omicidio, molte militanti cercano di arruolarla nelle loro fila. Sforzi vani, perché questa attitudine politica e collettiva è del tutto aliena dal modo di pensare e di essere di Valerie Solanas.
Concluso il processo viene trasferita all’ospedale Elmhurst e in un primo momento sembra felice di ricevere visite e attestati di stima. Sono molte, infatti, le ammiratrici che trascorrono qualche ora in sua compagnia. Tra le altre Roxanne Dunbar-Ortiz (sarà tra le fondatrici del gruppo radicale Cell 16) per la qualre recita per intero Up Your Ass. Ma con il passare delle settimane, diventa sempre più insofferente a tutte queste attenzioni. Talvolta implora, letteralmente, le militanti di farle visita, in altre occasioni spedisce lettere minatorie minacciando di morte chiunque si azzardi a parlare di lei o di SCUM con la stampa.
Nonstante queste intemperanze, Ti-Grace Atkinson, una delle più appassionate sostenitrici di Solanas, la va a trovare di frequente, le presta soldi di tasca sua e spinge NOW ad abbracciarne la causa tanto da scatenare le proteste delle femministe liberali (oggi direbbero mainstream) dentro e fuori l’organizzazione che non vogliono associare il movimento a una figura tanto controversa, malata di mente e per di più lesbica. Betty Friedan, per esempio, fondatrice e prima presidente di NOW, invia alcuni telegrammi (scritti tutti in maiuscolo) all’avvocato di Solanas affermando di: «DESISTERE IMMEDIATAMENTE DAL COLLEGARE NOW IN QUALSIASI MODO A VALERIE SOLANAS. LE MOTIVAZIONI DELLA SIG.NA SOLANAS NEL CASO WARHOL SONO TOTALMENTE IRRILEVANTI PER GLI OBIETTIVI DI NOW DI PIENA UGUAGLIANZA PER LE DONNE IN UNA VERA PARTNERSHIP PARITARIA CON GLI UOMINI».

Le ragioni della distanza con il movimento
Valerie Solanas ha l’impressione che tutte queste femministe abbiano un secondo fine: impadronirsi del suo lavoro e strumentalizzare la sua persona per foraggiare la loro causa. Per questo si scaglia spesso contro coloro che cercano di prendere le sue difese.
Per esempio, rifiuta l’ipotesi che il suo caso giudiziario sia inquadrato in termini di discriminazione sessuale. All’epoca, la tesi che va per la maggiore tra i gruppi femministi vede Solanas vittima di una cospirazione: l’hanno rinchiusa in un ospedale psichiatrico perché il suo delitto è un attacco diretto all’istituzione patriarcale. Irritata da questa interpretazione Solanas scrive ad Atkinson:
«Voglio chiarire che non sono stata internata a causa delle mie opinioni o del “Manifesto SCUM”… Né voglio che tu continui a ripetere [sic] le tue banalità sul mio movente per aver sparato a Warhol. La tua sfacciataggine nel presumere di essere a conoscenza delle mie ragioni, in una questione del genere è incredibile. In breve, non discutere mai pubblicamente di me, di SCUM o di qualsiasi aspetto che mi riguardi. Semplicemente non farlo».
Nell’ottobre del 1968, torna sull’argomento ribadendo a Judith Brown (autrice con Beverly Jones di Toward a Female Liberation Movement): «Non sono stata discriminata. È una questione inventata per dare a qualche sanguisuga senza immaginazione qualcosa di cui parlare».
E non è l’unico caso in cui Solanas manifesta questa insofferenza, in più occasioni si lamenta di sentirsi soffocata dalle militanti di NOW, il cui modo di interagire con lei, le ricorda i comportamenti manipolatori di un marito, o peggio di un editore: «Una cosa che mi aveva fatto imbestialire era ciò che ho percepito come un atteggiamento di controllo nei miei confronti + SCUM. Spesso avevo l’impressione di non appartenere a me, ma a Girodias, Warhol, a te, a chiunque volesse afferrare me + SCUM + monopolizzarci».

Gli ultimi anni
Nel 1973, a 37 anni, viene dimessa dall’ospedale e incontra Louis Zwiren, un vagabondo agorafobico, con cui intraprende una relazione sentimentale. I due vanno a convivere nel Lower East Side. Trova lavoro come editor presso la newsletter femminista Majority Report e, nel 1977, auto-pubblica la sua versione corretta del Manifesto. Il libro non ottiene i risultati che sperava e questa delusione le fa rinnegare, definitivamente, il manifesto. In quegli anni gli episodi schizzoidi tornano a verificarsi con frequenza.
Verso la fine del 1979, la sua relazione con Louis è al capolinea, così Valerie gli lascia la casa (che i servizi sociali le avevano garantito) e torna alla vita da senzatetto.
A tal proposito è interessante la testimonianza di Shulamith Firestone, autrice della raccolta di racconti Airless Spaces (1998) dove rievoca due incontri avuti con Solanas a New York alla fine degli anni ’70. Nel primo, visita Solanas nel suo appartamento, definito grazioso, in ogni caso migliore di quello in cui risiedeva Firestone, in quella circostanza evita di discutere delle sue teorie e del Manifesto «Francamente, ho pensato che fosse un grosso errore riconoscere Valerie come una di noi, una combattente della nostra causa, per non parlare di prendere il suo libro come una seria teoria femminista». Nel secondo incontro, avvenuto nel 1979, la rivede per strada, mendicante e coperta di piaghe.
Poi, per un paio d’anni, di lei si perdono del tutto le tracce, fino al 1981, quando rispunta a Phoenix, in Arizona. Qui la polizia locale le attribuisce il nomignolo di Scab Lady a causa del suo comportamento poco ortodosso e per la sua tendenza all’autolesionismo. Nel 1984 si trasferisce a San Francisco dove trascorre gli ultimi anni in una casa di cura, fino alla sua morte per polmonite nel 1988, all’età di 52 anni.

L’eredità di Valerie Solanas
L’eredità di Valerie Solanas è difficile da inquadrare. È stata vituperata e adorata, e infine beatificata, dalle femministe radicali; denigrata dalle femministe liberali/mainstream; e ignorata da tutti gli altri. Sebbene numerose edizioni di SCUM siano state pubblicate nel corso degli anni con prefazioni di personaggi del calibro di Michelle Tea, Vivian Gornick e Avital Ronell, la vita e l’opera di Solanas sono rimaste in gran parte inesplorate.
Arte
Eppure la sua figura tragica ha ispirato numerosi artisti. A cominciare da Carolee Schneemann che le ha dedicato una performance artistica Interior Scroll (1975) che consisteva nella lettura di un testo scritto sul corpo dell’artista esplorando temi di femminismo, violenza e sessualità. L’opera Inflammatory Essays (1982) di Jenny Holzer utilizzava LED per visualizzare frasi tratte dal Manifesto SCUM in luoghi pubblici, suscitando polemiche a non finire e più di recente Andrea Fraser ha realizzato la performance Untitled (A Reading) (2000) che consisteva nella lettura del Manifesto SCUM con tono monotono e distaccato. Per restare in Italia, L’artista Chiara Fumai, scomparsa prematuramente nel 2017, in occasione del Premio Furla 2013 ha realizzato l’opera Chiara Fumai legge Valerie Solanas. Per maggiori informazioni vai QUI.
Cinema & TV
Anche il cinema si è interessato a Solanas: con il già citato biopic I Shot Andy Warhol di Mary Harron proiettato per la prima volta al Festival di Cannes del 1996 e riproposto al 66° Festival Internazionale del Cinema di Berlino nel febbraio 2016. E ancora, l’attrice Lena Dunham ha interpretato Solanas in un episodio di American Horror Story: Cult (2017) di Ryan Murphy, intitolato Valerie Solanas Died for Your Sins: Scumbag, dove il suo personaggio funge da espediente narrativo per esplorare la rabbia femminista in quel clima sociopolitico.
Letteratua
L’autrice svedese Sara Stridsberg ha pubblicato Valerie: or, The Faculty of Dreams: Amendment to the Theory of Sexuality (pubblicato in inglese nel 2020), un romanzo di narrativa storica ispirato a Solanas, preceduto da un’opera teatrale intitolata Valerie Jean Solanas for President of America (2006).
Gli editori continuano a trarre profitto dal suo manifesto. L’ultima edizione di SCUM curata da Avital Ronell è stata pubblicata da Verso Books nel 2004, ed è stata messa in relazione ad altre opere come The Ends of Man di Jacques Derrida (scritto nello stesso anno) e Excitable Speech di Judith Butler. AK Press ha pubblicato una versione introdotta da Michelle Tea nel 2013. Nonostante siano trascorsi sessant’anni, Solanas continua a essere un simbolo del femminismo.

Chi era Valerie Solanas?
Nessuna delle numerose interpretazioni sulla vita di Solanas è sfuggita alla forza della mitologia. A dispetto dei numerosi tentativi di appropriarsi della sua eredità, Valerie Solanas non ha mai aderito al movimento femminista, come ha dovuto riconoscere persino Atkinson, «non è mai stata una femminista, non aveva alcun interesse per alcun movimento politico; era una scrittrice e un’artista, niente altro».
Solanas era una donna profondamente solitaria. Il suo pensiero e il suo comportamento erano incompatibili con la collettività del movimentismo di qualsiasi genere, indipendentemente dalle possibili affinità ideologiche.
Ciò nonostante, per quanto Solanas si sia sforzata di rimanere fuori dall’istituzione femminista, ne è diventata un simbolo e un’ispirazione. È la santa patrona della rabbia femminile. La sua storia personale ha permesso al movimento più radicale di definirsi; Solanas non è mai stata una di loro, ma molte femministe hanno riconosciuto il proprio orizzonte sulle stesse coordinate che lei aveva tracciato. Una testimonianza delle ingiustizie e delle discriminazioni subite dalle donne nella società patriarcale e un esempio estremo di come la rabbia e la frustrazione possono portare a derive pericolose.
Tuttavia, la teologa Mary Daly citando il Manifesto SCUM nel suo libro Gyn/Ecology: The Meta-Ethics of Radical Feminism (1979) ha sostenuto che il testo di Solanas offre una visione radicale e necessaria della condizione femminile e della necessità di una rivoluzione femminista.
Perché Valerie Solanas non era solo una donna arrabbiata. Era una donna che aveva visto l’inferno e ne era uscita urlando. Una donna che con i suoi metodi, forse un tantino discutibili, d’accordo, ha cercato di scuotere le coscienze e di cambiare il mondo. La sua rivoluzione non ha mai avuto luogo, ma continua a pulsare nelle nostre menti, come un monito inquietante e indimenticabile.
