ZugZwang / Danza / Elisabetta e Gennaro Lauro / Intervista

ZugZwang Arti Performative / Danza / è uno spettacolo di danza dei fratelli Lauro, per la prima volta insieme in scena, prodotto da Sosta Palmizi @sostapalmizi, Compagnie Meta @compagnie.meta (Francia) e Cuenca/Lauro (Germania).

Sono in due, un fratello e una sorella, a muoversi come pedine dentro il quadrato di una scacchiera immaginaria, in un labirinto di figure che racchiudono tutte le loro possibilità di movimento e di relazione. Ogni figura è un mondo, un enigma da attraversare e decifrare. Tra deviazioni, incastri e impasses i due provano a disinnescare il gioco e  le regole, sembrano  chiedersi: quanta libertà è data in un ordine prestabilito?

Sarà in scena a Milano, al Teatro della Contraddizione dal 4 al 6 ottobre 2024 per la rassegna In Controdanza a cura di MOWlab/Il Filo di Paglia @mowlabilfilodipaglia e Teatro della Contraddizione @teatrodellacontraddizione.

Per approfondire gli archetipi della danza e della ricerca messa in atto in ZugZwang —un metodo di composizione originale a partire dalla memoria individuale e dalla creazione di figure personali— gli autori-interpreti hanno tenuto la masterclass Come costruirsi un labirinto alla Contraddizione, il 30 e 1 ottobre 2024.

Cosa significa ZugZwang

Nel gioco degli scacchi, zugzwang si verifica quando uno dei contendenti è impossibilitato a fare una mossa qualsiasi, senza andare incontro a danni irreparabili. È il momento in cui «il gioco si fa giogo». La parola composta dal tedesco [propr. «costrizione a muovere», comp. di Zug «mossa» e Zwang «costrizione»], denota uno degli snodi tattici più difficili da padroneggiare per i giocatori, insieme a quello del sacrificio. Rappresenta, infatti, un apparente paradosso: sei obbligato a fare la tua mossa, anche se tutte le opzioni possibili ti condurranno a una probabile disfatta.

Elisabetta e Gennaro Lauro (@elisabetta_lauro_lamusa; @gennarolaurotanz)hanno tradotto questo concetto nel linguaggio della danza. La loro arte è frutto di una raffinata analisi su questioni filosofiche, morali e di relazione tra individui, di rilevante importanza (oltre che di grande attualità), come la libertà di movimento dei corpi, cara a pensatori come Thomas Hobbes.

La domanda tematica, formulata dagli autori, è: fino a che punto il movimento è uno slancio vitale e quando diventa una fuga o uno stallo?  

Il parallelismo tra la sintassi della scacchiera, con le sue mosse prestabilite, e le logiche ferree che determinano le regole del mondo a cui sono soggetti donne e uomini, è un topos caro alla letteratura (vengono in mente Nabokov, Borges o Calvino per restare in Italia), eppure ZugZwang è in grado di offrire un taglio inedito. E lo fa proprio grazie alla commistione tra la danza, la partitura musicale di Amedeo Monda, e il disegno luci di Tea Primiterra (@electrikteak) coadiuvata da Roberto Cupertino. Linguaggi complementari, in grado di intrecciare un reticolato di suggestive figure visive e sonore che veicolano messaggi su un piano istintivo e permettono una comprensione corporea più che di testa. Assistere allo spettacolo dei fratelli Lauro ci porta a interrogarci su un dilemma fondamentale: «dobbiamo continuare a muoverci seguendo le regole o invece trasgredirle, o ancora accogliere l’impasse come una sfida e cercare un modo nuovo di muoverci, un modo che ci aiuti ad andare oltre?» 

ZugZwang di Elisabetta e Gennaro Lauro / ph. R. Panozzo
ZugZwang di Elisabetta e Gennaro Lauro / ph. R. Panozzo
Com’è nata l’idea di ZugZwang

ZugZwang è nato dal desiderio di incontrarci in una dimensione diversa da quella del solo legame familiare. Uno dei punti di ispirazione è stato proprio il termine zugzwang che è arrivato a Elisabetta dal film Mr. Nobody (di Jaco van Dormael). Da lì ci siamo interrogati su cosa significhi muoversi in un reticolato prestabilito e come trovare nuovo spazio nello stesso spazio di sempre. È così che, in maniera spontanea, è emerso che per noi il reticolato prestabilito è quello familiare che sembrerebbe il solo a connetterci. 

Vi è mai capitato di trovarvi in una condizione simile nella vostra vita?

Costantemente, perché le nostre esistenze si muovono per lo più entro reticolati, siano essi sociali, indentitari, lavorativi o di affetti. Poi, come artisti, siamo spesso confrontati all’esigenza di rendere sempre nuovamente vitale quello che già c’è, perché in fondo la materia con cui noi lavoriamo è quel che già esiste, di cui sta a noi riuscire a fare sempre nuova esperienza, invece di averne una semplice cognizione o di darla per scontata. È come un tentativo di fare diversamente quello che esiste da sempre, piuttosto che di fare per forza qualcosa di diverso.

Perché avete deciso di collaborare, per la prima volta, proprio su questo spettacolo? Cosa avete scoperto l’una dell’altro?

Avevamo già lavorato insieme in sala, ma mai condiviso una creazione. A muoverci più che una decisione, è stato un desiderio, quando ancora non esisteva nemmeno il concetto dello spettacolo. Diciamo che le cose sono venute un po’ da sé, seguendo un’intuizione. 

Il lavoro ci ha portato a incontrarci in maniera diversa da quella conosciuta fino ad allora, aprendoci sicuramente ad altre sfumature e angolature dell’altro che – in quanto fratello o sorella – pensavamo di conoscere per intero.

Siamo in un’epoca in cui si va superando la rigida distinzione tra danza e teatro, le arti si ibridano, cadono le divisioni tra i vari generi. Come inquadrereste Zugzwang? Danza? Teatro? Ci sono delle strategie per superare i confini dei linguaggi?

Nella fattispecie, ZugZwang è un lavoro basato sul movimento, benché certamente il movimento non sia fine a se stesso. Quanto alla questione dei generi, pensiamo che la danza e il teatro, pur avendo le loro specificità di linguaggio, non siano due generi separati, ma solo due possibilità dell’espressione teatrale, e che quindi per incontrarsi non abbiano bisogno di ridursi o di rinunciare a parti di sé. Non crediamo quindi siano necessarie strategie per superare i confini, perché in fondo di confini non ce ne sono.

ZugZwang di Elisabetta e Gennaro Lauro / ph. R. Panozzo
ZugZwang di Elisabetta e Gennaro Lauro / ph. R. Panozzo
A ZugZwang collaborano il musicista Amedeo Monda e la fotografa e disegnatrice luci Tea Primiterra. Sul piano della messa in scena e della regia come avete declinato il tema del labirinto, del movimento, della costrizione nella danza, nel suono e nel disegno luci?

Ancora prima di incontrare in sala Amedeo, avevamo raccolto dei materiali sonori che fossero legati alla vita quotidiana e a strati di esperienza che di solito passano inosservati (come il fischio di un treno o il suono di uno strumento in lontananza o ancora il rumore di vetri in frantumi in un ristorante particolarmente affollato). Amedeo li ha inseriti in un tessuto sonoro che ha costruito anche lui a mo’ di reticolato. I suoni si muovono per andate e ritorni alla ricerca continua di uno spiraglio da cui far emergere una possibile melodia.

Rispetto alla luce Tea ha costruito un disegno luci in cui il reticolato viene sempre evocato ma non si palesa mai in maniera definitiva. La scacchiera è sempre e solo accennata. Ha poi lavorato sullo sviluppo dello spazio da un’atmosfera piana e priva di ombre verso un mondo multidimensionale e multiprospettico. 

In una scacchiera dove le mosse delle sinogle figure sono definite e in un labirinto dove i percorsi sono già tracciati, la libertà è solo un’illusione?

No, dipende da cosa si intende per libertà. Spesso pensiamo che essere liberi sia un’impresa tutta individuale, che dobbiamo disfarci di qualcosa e fare qualcosa di totalmente nostro, mentre crediamo che ci sia una forma di libertà che ha a che fare con la cura e con il rinnovare piuttosto che con l’innovare.

Voi ponete un dilemma: fino a che punto il movimento è uno slancio vitale e quando diventa una fuga o uno stallo? Lo spettacolo suggerisce anche una risposta?

Non pensiamo di essere giunti a una risposta né di poterne fornire una definitiva. Quello che ci interessa è piuttosto continuare ad esercitare la nostra capacità di porci domande e di mutare prospettiva su ciò che di solito diamo per scontato.

In un’intervista in occasione di Testimonianze ricerca azioni, avete menzionato l’abitudine (quasi per gioco) a identificare le tante figure composte per ZugZwang, con i vostri familiari: mamma, papà, nonno, nonna… è un metodo che mi fa pensare alle Costellazioni familiari e sistemiche di Bert Hellinger. Una tecnica di analisi discussa eppure affascinante con la quale mi pare di intravedere una qualche —seppur involontaria— assonanza: durante le sedute, attraverso il movimento si evoca l’energia dei parenti con l’obiettivo di sanare conflitti espliciti o latenti. Mi chiedevo se lavorare a ZugZwang vi abbia permesso di conoscervi più a fondo (lo scopo ultimo di un percorso analitico), e che ruolo abbiano avuto i temi della radice, della memoria e della famiglia?

Questa creazione sicuramente ci ha dato l’occasione di conoscere davvero quello che conosciamo già da sempre. Come fratello e sorella, portiamo sicuramente con noi una stratificazione di memorie familiari più o meno lontane. Non si tratta veramente di sanarle ma di attraversarle e portarle a emersione, così come accade con la luce o con la musica che nello spettacolo piano piano prendono corpo.

ZugZwang di Elisabetta e Gennaro Lauro / ph. R. Panozzo
ZugZwang di Elisabetta e Gennaro Lauro / ph. R. Panozzo
Nel dossier di ZugZwang è citato un brano tratto dal saggio teoretico Filosofia dell’espressione di Giorgio Colli «Chi tenta di interpretare il mondo come un enigma è mosso da un istinto serio, ferreo, profondo, violento, quasi per il presentimento che in fondo alle cose vi sia un filo conduttore, scoperto il quale sia possibile tracciare il disegno per uscire dal labirinto della vita; e insieme da un istinto giocoso, lieve, avido di imprevisto, dall’ebbrezza di chi toglie con meditata lentezza i veli dell’ignoto». Vi considerate impegnati nella soluzione dell’enigma del mondo?

Come accennavamo prima e come crediamo voglia dire Colli in quel suo passaggio, ancor prima di fornire soluzioni sul mondo è importante riuscire a guardare questo mondo come un enigma, a non trattarlo come un semplice oggetto, ma come un accadimento a più strati, con le sue ombre e i suoi possibili rovesciamenti. Lo svelamento è nell’enigma, quindi, non nel suo superamento. Un po’ come quando da piccoli la maestra ci diceva che metà della risposta è già nella domanda.

Simon Gusman
Simon Gusman
Viaggiatore compulsivo. Per molti anni ha vissuto in Chiapas dove ha conosciuto il Subcomandante Marcos. Al momento vive a Granada.

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