Mostruoso femminile / Cinema / Excursus storico sul rapporto tra horror e femminile

Mostruoso femminile nella storia del Cinema HorrorArti Performative / Cinema / Interviste / Scopo di questa intervista (o, piuttosto, dialogo maieutico) è far vedere  lo sviluppo del rapporto Horror/Femminile, passando in rassegna gli stereotipi di genere che contrassegnano i ruoli riservati alle attrici: la sessualizzazione delle vittime, il mostruoso-femminile in tutte le sue declinazioni, il senso di abiezione riferito al corpo delle donne, specie delle madri etc. etc. 

Autrici come Barbara Creed (Horror and the Monstrous-Feminine: An Imaginary Abjection) o Carol J. Clover (Men, Women, and Chainsaws: Gender in the Modern Horror Film)  hanno offerto una valida base teorica di partenza allo studio di questo rapporto, ma per descrivere la sua evoluzione penso sia necessario il confronto con chi l’horror ‘lo fa’ in prima persona.

Per questo mi sono rivolto all’attrice  Ilaria Monfardini, alla regista Giulia Reine  e a una ricercatrice indipendente, specializzata in cinema di genere e in feminist film theory, Francesca Lapadula. Grazie alla passione e all’esperienza di queste tre professioniste, sarà più facile scandagliare e inquadrare, da angolature differenti e complementari, la materia della nostra indagine.

Va fatta una premessa: nel cinema di genere i personaggi femminili sono stati sovente ridotti a caratteri (stereotipati e subalterni ai ruoli maschili) o, peggio, a mere ‘funzioni’, necessarie allo svolgimento del plot. È il caso, per fare un esempio, delle cosiddette Women In Refrigerators, espressione coniata da Gail Simone e ispirata al comic Lanterna Verde, in cui il supereroe trova il cadavere della sua fidanzata nel frigorifero. Questo raccapricciante omicidio rappresenta per il protagonista la chiamata all’azione. La vera tragedia, però, è che il lettore non verserà nemmeno una lacrima per la disgraziata vittima. Dopotutto, persino Daniel Goleman farebbe fatica a empatizzare con quello che è a tutti gli effetti un espediente narrativo! E non stupisce se, nel 1985, Alison Bechdel, un’altra fumettista americana, abbia sentito l’esigenza di ideare un test per valutare l’impatto dei personaggi femminili nelle opere di finzione.

L’horror non fa eccezione, le donne quasi sempre sono state relegate a ruoli ben definiti di vittime (preferibilmente sexy), di Final Girl (sempre sexy, ma con jeans e poco trucco) e di mostri (anche in questo caso, se sono sexy non guasta), spesso costruiti sulla base di cliché o soggetti a una moralità che tende a premiare i personaggi sessualmente inibiti. È il caso, per esempio, degli Slasher Movie, dove la brava ragazza si salva, mentre l’amica promiscua, rigorosamente in shorts o sottoveste, è preda della furia omicida del Serial Killer di turno.

Negli ultimi anni, tuttavia, (anche grazie all’affermarsi di autrici e registe dedite all’horror come Ana Lily Amirpour; Jennifer Kent; Karyn Kusama; Coralie Fargeat reduce dal recente successo di The Substance e Julia Ducournau, vincitrice della Palma d’Oro al Festival di Cannes 2021) i personaggi femminili hanno  acquistato complessità e spessore. Inoltre, tematiche spiccatamente femminili, una fra tutte la maternità, vengono affrontate da prospettive inedite in film quali The Babadook, Prevenge o Repulsion

Questa schiera di registe e attrici, sempre più influente a Hollywood, sta cambiando il cinema o finirà per omologarsi al modello dominante? 

Per rispondere a questa domanda, con l’aiuto di Ilaria, Giulia e Francesca, faremo un excursus storico del genere horror e, nella prossima puntata, ci focalizzeremo sul cinema horror contemporaneo.

Horror femminile / Bela Lugosi
Lenore Aubert e Bela Lugosi / Abbott and Costello Meet Frankenstein (1948) / Regia di Charles Barton
Cosa vi attrae dei film horror? 

Francesca: Mi sono avvicinata al cinema grazie all’Horror. All’inizio era più che altro una sfida con me stessa, volevo affrontare le mie paure. Poi studiando il genere ho iniziato ad amarlo sempre di più, perché i film dell’orrore, con il loro linguaggio simbolico, possono essere mezzi straordinari per comprendere la nostra società e i tabù, i desideri, le paure che la regolano. 

Giulia: Fin da piccola ho sempre amato la sensazione della paura. I miei genitori mi hanno autorizzata a guardare film dell’orrore a partire dai dieci anni, ma in realtà non ricordo quando ho cominciato a vederli di nascosto. Mi terrorizzavano e allo stesso tempo mi piaceva quella sensazione, il thrilling è quello che cercavo da bambina ed è quello che cerco ancora adesso. 

Ilaria: Il primo horror che ho visto è stato Suspiria di Dario Argento, avevo otto anni. È il primo amore che non si scorda mai. Quell’emozione, l’adrenalina che ho provato da bambina mi ha portato a voler fare l’attrice. Per parafrasare il mio autore preferito, Lovecraft, l’emozione più antica dell’uomo è la paura. Io, proprio come Giulia, pur non essendo più quella bambina di otto anni, sono molto attratta dal thrilling, dalla paura, questa emozione primordiale e vitale. 

Certo che Suspiria a otto anni è impegnativo. 

Ilaria: C’era il ciclo di Dario Argento in televisione e mentre i miei erano affaccendati in cucina, mio fratello e io ne abbiamo approfittato.

Mi liberi dal senso di colpa, ho fatto vedere proprio Suspiria ai miei nipoti, ma avevano ampiamente superato gli otto anni.

Ilaria: Hai fatto bene.

Il cinema Horror è un genere misogino? Si rivolge prevalentemente a un pubblico maschile?

Giulia: Oggigiorno il target a cui mirano le produzioni Horror è sia maschile, sia femminile, 50-50, e non direi che è il genere in sé sia misogino.

Francesca: Bisognerebbe vedere un po’ caso per caso, periodo storico per periodo storico, perché negli ultimi anni, ad esempio, c’è stato tutto il filone dei film horror diretti da registe donne che si rivolgono prevalentemente a un pubblico femminile. 

Ilaria: Concordo con voi, è una risposta su cui penso non si possa non essere d’accordo. Aggiungo solo che la tua domanda va inquadrata su un piano cronologico. Se guardiamo l’horror degli anni ‘80, rammento bene che le appassionate del genere erano mosche bianche. La frase che mi sentivo ripetere più spesso era «che bello una donna che ama l’horror!». Ma sinceramente non credo che il problema fosse che i film dell’orrore non si rivolgessero alle donne, erano piuttosto le donne a non interessarsi all’horror. Oggi per fortuna sempre più donne si avvicinano al genere e sempre più film parlano alle donne. Chissà un giorno anche nel nostro Paese sarà prodotto qualcosa come XX – Donne da morire (film horror collettivo di cineaste donne, ndr).

Giulia: Effettivamente il pubblico femminile è aumentato negli ultimi anni. E sì, in passato forse c’era un fondo di misoginia, ma non credo sia l’horror il genere che ha più maltrattato i personaggi femminili. Penso piuttosto al western, dove le donne con qualche battuta per lo più sono prostitute. Certo negli horror le donne sono carne da macello, ma non più degli uomini.

Ilaria: Sì nei western le donne sono quasi sempre personaggi ai margini, nell’horror, al contrario, spesso sono le protagoniste, penso alle tante Final Girl che hanno fatto la storia del genere.

Ilaria Monfardini durante una ripresa di IVI ELV diretto da Luigi Scarpa (2022)
Ilaria Monfardini durante una ripresa di IVI ELV (2022) / Regia di Luigi Scarpa
Ilaria e Giulia, questa domanda è per voi che lavorate da molti anni in produzioni a basso e micro budget. Cosa mi dite del cinema horror italiano indipendente? È un contesto maschilista? Avete mai avuto problemi sul set?

Giulia: Non ho l’impressione che ci siano tante registe, per carità, ne ho conosciute, ma non siamo così numerose. Personalmente, mi sono sentita sempre bene accolta sui set. Certo ho avuto ottime esperienze con alcuni registi, con altri meno, ma non credo dipenda dal mio essere donna. È una questione caratteriale. Il nostro mondo è piccolo, gira e rigira incontriamo sempre le stesse persone. Spesso sui film dell’uno o dell’altro collaborano la stessa truccatrice e lo stesso direttore della fotografia. Alla fine si creano legami di amicizia, l’indie, intendo il cinema a basso budget horror, è una piccola comunità affiatata.

Perché ci sono poche donne dietro la macchina da presa? 

Giulia: Non so risponderti. Posso fare delle ipotesi, penso in parte possa dipendere dal timore del giudizio esterno. Una donna che propone una sceneggiatura a tinte forti, con scene di violenza e mutilazione, potrebbe essere mal considerata. Ma a questa come le viene in mente di voler filmare questa storia? Cosa le passa  per la testa? È il timore di essere stigmatizzate come pazze. Forse ci sentiamo meno libere di non conformarci alle aspettative della società.

Ilaria: Per la mia esperienza, posso dire che ci sono registe di horror anche nell’indie italiano, certo sono una minoranza, ma le acque stanno cominciando a smuoversi anche da noi. Io collaboro con il Festival FIPILI e quest’anno hanno inviato molti cortometraggi horror diretti e/o scritti da donne. Non si può negare però che al momento, da noi, le donne siano vincolate ad alcuni ruoli, il trucco e parrucco, la segretaria di edizione (quasi sempre donna), ma non mi è mai capitato di incontrare un tecnico del suono donna. La ragione? Fino ad ora abbiamo trascurato certi aspetti tecnici. Io posso dire che sui set sono sempre stata accolta bene e coccolata.

Horror femminile / Klaus Kinski e
Isabelle Adjani / Nosferatu: Il principe della notte / regia di Werner Herzog
Isabelle Adjani e Klaus Kinski / Nosferatu: Il principe della notte (1979) / Regia di Werner Herzog
Con il vostro aiuto, vorrei tracciare l’evoluzione dell’immagine della donna nel cinema dell’orrore. La figura femminile nell’horror delle origini è quasi sempre la vittima designata. In parte questo è ascrivibile allo stereotipo che vede la donna come un essere vulnerabile e indifeso. Ma è interessante notare come in questi primi film, la vittima donna provi una sorta di fascinazione per il mostro che la minaccia, è il caso di Nosferatu, o, almeno, tenda a solidarizzare o a provare compassione per la creatura mostruosa. Quale pensate sia il motivo di questa complicità? Quale il sotto testo?

Francesca: Numerose studiose si sono interrogate sul tema e questa complicità di cui parli tra vittima donna e mostro dipende essenzialmente dal fatto che nel contesto descritto dal film rappresentano entrambi il diverso. Dracula, per fare un esempio pratico, non è solo un mostro, incarna anche un modello alternativo di mascolinità. Spesso la vittima ha un compagno a cui è promessa in matrimonio e il mostro, seducendo la donna, minaccia questa unione. L’immancabile happy end porterà alla sconfitta del mostro e alla celebrazione delle nozze, l’ordine è finalmente ripristinato. Ma non si può ignorare che per un momento l’attrazione tra vittima e mostro è stata irresistibile per il semplice fatto che si sono riconosciuti. Entrambi, infatti, hanno il recondito desiderio di sovvertire il modello egemone, la soggettività maschile dominante. Ovviamente, nella maggior parte dei film horror il mostro alla fine è ucciso, ma per alcuni frangenti del film è possibile immaginare un ordine alternativo. Questa è la ragione che portava il pubblico femminile a fare il tifo per Dracula, penso al successo dell’attore Bela Lugosi autentico sex symbol degli anni ‘30.

Ilaria: La donna ha sempre avuto un’attrazione morbosa per chi la fa stare male e non si fila chi la ricopre di regali, chi la considera una perla rara. È un cliché di cui il cinema horror si è appropriato raffigurando l’uomo brutale come un mostro. Restando sull’esempio di Dracula, sono sempre uomini tremendamente affascinanti, quasi irresistibili. Le donne che li circondano sanno bene che probabilmente finirà male, ma non possono resistergli.

Dracula è un bad boy d’altri tempi 

Ilaria: In un certo senso.

Negli anni la donna si emancipa dal ruolo esclusivo di vittima, sono sempre più frequenti gli esempi di mostro-femminile, soprattutto streghe e vampire. In modo particolare, la donna mostro prova a corrompere e a eliminare l’uomo con le armi della seduzione. Per certi versi, restiamo nel campo delle femmes fatales, donne seducenti e distruttive prese a prestito dalla letteratura noir e hardboiled. Perché la donna è avvertita come una minaccia sovversiva per l’ordine costituito? E quanto l’horror ha contribuito a confermare o a smontare questi paradigmi?

Francesca: Sì, spesso come nei  film noir, la presenza femminile nell’horror, le streghe o le vampire per esempio, rappresenta una minaccia per il sistema costituito. La donna seduttrice è anche una donna pericolosa. C’e da dire che questi mostri femminili erano molto carismatici, certo erano anche loro destinati alla sconfitta come Dracula, ma immagino che un certo pubblico, mi riferisco alle categorie minoritarie, potesse apprezzare questi personaggi che minacciavano lo status quo. Per certi versi era gratificante anche solo considerare questa possibilità, nonostante lo scontato finale a “lieto fine”. È il potere della trasgressione in grado di solleticare anche le persone più ligie alle regole, forse soprattutto quelle. Non penso soltanto alle donne, ma al pubblico queer dell’epoca. Il fatto che un mostro minacciasse una società che comunque è escludente con alcune categorie doveva suscitare una qualche simpatia da parte di questi spettatori per la vampira o la strega di turno.

Giulia: Puoi farci qualche esempio di questi film con mostri femminili carismatici?

Francesca: Il primo che mi viene in mente è Dracula’s Daughter. Poi, più recente, siamo negli anni ‘70, Daughters of Darkness. Credo sia soprattutto a partire dagli anni ‘70, con quei film ai limiti del softcore e le vampire mezze nude, che emerga prepotentemente la sessualità dei mostri donna. Certo in questi film, penso ai vari adattamenti di Carmilla l’amante immortale, le donne mostro non si avvicinano neanche lontanamente al magnetismo del Dracula di Gary Oldman

Ilaria: Negli anni ‘70 spesso si rappresentavano gruppi di donne mostro come in Il delitto del diavolo di Tonino Cervi o Femmine Carnivore di Zbynêk Brynych. Per quanto riguarda le femme fatale una delle più esemplari dell’horror, per la quale però lo spettatore non fa mai il tifo, è il personaggio di Cleopatra in Freaks di Tod Browning, interpretato da Olga Baclanova, in grado di incantare tutti i circensi con le sue abilità seduttive.  

Horror femminile / Vampiri Amanti / The Vampire Lovers / Regia di Roy Ward Baker (1970)
Vampiri Amanti / The Vampire Lovers (1970) / Regia di Roy Ward Baker
Come accennava Francesca, molti film sulle vampire, che hanno avuto un grande successo negli anni ‘70, mettono in scena rapporti saffici e propongono un parallelismo evidente tra la condizione del vampiro e l’omoerotismo. Un’antinomia insuperabile tra la sessualità deviata del mostro e il modello dominante eteronormativo. Se da un lato è indubbio che questi film fossero destinati a un pubblico maschile (lo dimostrano le numerose scene erotiche e voyeuristiche), dall’altro hanno dato un contributo all’evoluzione dell’immaginario femminile nel genere horror? Quanto è pesata l’influenza dei movimenti femministi di quegli anni? 

Ilaria: Mi riallaccio al discorso che faceva Francesca all’inizio, il mostro e la donna provano una certa attrazione l’un l’altra perché entrambi rappresentano il diverso, entrambi sono ai margini della società. Con gli anni ‘70 le ragioni del femminismo acquistano sempre maggiore rilevanza nel dibattito pubblico e questo si riflette anche nella filmografia horror. Il vampiro è colui che succhia il sangue, che ti priva della tua energia vitale. Con l’avvento delle vampire questo ruolo viene assunto dalle donne che vogliono privare gli uomini della loro energia quindi anche del loro potere. C’è anche un altro aspetto che ritengo interessante, spesso queste vampire, o streghe o cannibali che dir si voglia, operano in gruppo. Si contrappone a un modello individualista, un modello fondato sulla collaborazione tra pari. La donna non si accontenta più di provare una fugace attrazione per il conte Dracula prima di sistemarsi con il suo marito borghese. Come fosse un capriccio da addio al nubilato. Ora la donna vuole sovvertire la società governata dall’uomo. Vuole il potere degli uomini.

Francesca: Anche io riscontro nella figura del vampiro e poi della vampira un sottotesto omeoerotico, prima più implicito e via via sempre più dichiarato. Quindi sì, in quei film è evidente un parallelismo tra il vampirismo e l’omoerotismo. Non dimentichiamo che era un periodo in cui l’omosessualità era considerata una devianza. Ci tengo a sottolineare, però, che in molti di questi lungometraggi anche la coppia eterosessuale di protagonisti/vittime aveva un rapporto che oggi definiremmo disfunzionale, questo per dire che non si voleva necessariamente rappresentare una netta distinzione tra bene e male. La vampira era quasi sempre più affascinante e attraente del personaggio maschile e per certi versi il modello alternativo a quello egemonico è più desiderabile. Questo perché nell’horror il messaggio presenta sempre una certa ambiguità. Se la storia, nel suo impianto generale, può apparire reazionaria, permangono numerosi elementi di critica alla società.

D’altro canto questi film promuovono l’immagine di donne libere ed emancipate 

Francesca: Mi viene in mente The Velvet Vampire, tra l’altro diretto da una donna, Stephanie Rothman, che rappresenta esattamente questa immagine di donna libera ed emancipata a cui fai riferimento tu. Pare che questa rappresentazioni di personaggi che incarnano i valori del femminismo, più o meno radicale, sotto le vesti di vampire sia dovuto proprio alla visione che all’epoca gli uomini avevano di queste donne impegnate. Le consideravano una minaccia per la stabilità della società e dell’istituzione della famiglia. Erano per certi versi davvero delle vampire. 

Ilaria: Avete visto Vamp con Grace Jones? È un po’ successivo, ma ribadisce questo concetto, anzi lo esplicita. La donna si trasforma non semplicemente in una vampira, ma in una vampira vamp. Quindi dotata di una straordinaria carica sessuale con il suo erotismo sfacciato che spaventa gli uomini. 

Horror femminile / Final Girl in posa con Jason Voorhees / Venerdì 13 / Immagine generata da AI
Final Girl in posa con Jason Voorhees / Venerdì 13 / ph. Immagine generata da AI
Oltre a quello di mostro, specie a partire dagli anni ‘90 (l’epoca d’oro degli slasher) la donna assurge anche a quel ruolo che la Clover ha definito Final Girl. L’unico personaggio che sopravvive alla mattanza del mostro/serial killer, caratterizzato da una sessualità moderata, spesso è addirittura vergine a differenza delle sue compagne di sventura, sessualmente più attive che sono uccise senza pietà.  Sembra sopravvivere in virtù della sua moralità. Questo nuovo ruolo è o no una conquista per i personaggi femminili?

Francesca: Viene subito alla mente il decalogo di Scream, se vuoi sopravvivere in uno slasher non devi bere, non devi fumare, non devi fare sesso… quindi sì, forse c’è una componente morale, ma non credo sia la più importante. La Final Girl non rappresenta una femminilità classica, almeno quella cinematografica dove i caratteri sono molto accentuati. Di frequente ha un nome che potrebbe essere anche da uomo, indossa abiti o maschili o, comunque, che non mettono in risalto le forme. Forse più che per questioni morali, questo tentativo di androginizzare il personaggio ha lo scopo di favorire l’immedesimazione da parte del pubblico maschile. La Clover mette in evidenza anche questo aspetto. In fondo lo Slasher non è, a differenza di quello che si pensa, un genere sadico in cui il pubblico maschile si identifica con il mostro. Molto probabilmente si identifica con la Final Girl, questa credo sia la regione per cui non si vuole caratterizzare questo personaggio con una spiccata femminilità. Inoltre, ha tutte quelle caratteristiche che sono spesso affidate ai personaggi maschili, per esempio il desiderio di indagare e risolvere il mistero… 

Giulia: C’è un film in particolare che conferma le parole di Francesca, Alien, del ‘79. Molti non ci pensano, ma il capolavoro di Ridley Scott è a tutti gli effetti uno slasher. La Final Girl, Ellen Ripley, sarebbe dovuta essere un uomo, solo all’ultimo hanno deciso di ingaggiare una donna. E infatti Ellen è un personaggio molto androgino. Solo negli episodi successivi il suo essere donna acquisirà un valore dirimente per la trama.

Ilaria: Ci hai chiesto, se consideriamo una conquista l’avvento delle Final Girl. Per me no. Sono personaggi donna quasi accidentalmente, come faceva notare Giulia con l’esempio di Alien, potrebbero anche non esserlo. Penso la vera conquista sia stata quella di adoperare le donne non solo per il ruolo di vittima, ma anche per quello di mostro. Certo la donna ha conquistato un suo spazio, molti di questi personaggi femminili sono diventate protagoniste iconiche dell’horror, ma questo non è sufficiente, non è solo una questione di minutaggio, di quanto una donna sia presente a schermo, ma anche di come è tratteggiato un personaggio femminile. Quanto è profondo e complesso.


Francesca Lapadula

     

Ha studiato cinema al DAMS dell’Università di Bologna e ha conseguito la laurea magistrale in cinema, televisione e produzione multimediale presso l’Università degli studi di Roma Tre. Nel corso dei suoi studi ha approfondito il cinema di genere e la feminist film theory, prima con la tesi Pornografia femminista in Italia e poi con la tesi magistrale Le donne nell’horror. Gender, rappresentazione e nuovi scenari nell’horror contemporaneo. Oggi lavora come ricercatrice indipendente e ha partecipato alla pubblicazione del libro Giardini a Roma (Aracne, 2022) con un intervento sulla rappresentazione dei giardini storici romani nel cinema. 

Ilaria Monfardini

     

Nasce a Firenze e si laurea in lettere classiche a indirizzo archeologico, specializzandosi successivamente in Egittologia a Torino. Contemporaneamente consegue un diploma triennale presso l’accademia di arte drammatica di Firenze Max Ballet Academy, sotto la guida del regista Massimo Stinco. Dopo una lunga carriera nel teatro, si dedica al cinema esordendo nel 2021 in E tutto il buio che c’è intorno di Pupi Oggiano. È amministratrice del gruppo Facebook FILM HORROR… CHE PASSIONE con oltre 30.000 iscritti, dal 2020 conduce su Radio Saigon una rubrica di cinema di genere e dal 2021 collabora con le testate di cinema Malastrana Vhs e Mondospettacolo.

Ha collaborato con numerosi registi tra i quali (in ordine sparso) Riccardo Ceppari, Luigi Scarpa, Andrea Bacci, Paola Settimini, Guerrilla Metropolitana, Max Nascente, Dario Germani, Alex Lucchesi, Paolo Del Fiol, Davide Pesca, Francesco Tassara, Leonardo Barone, Emanuela Messina, Michele Kossler, Alex Visani, Dario Almerighi, Lorenzo Lepori, Andrea Maccarri, ed a breve con Luca Pincini e Davide Cancila. 

Giulia Reine

     

È laureata in letterature europee e americane. Esordisce nell’horror come attrice e collaboratrice di Paolo del Fiol, nella pellicola Sangue Misto. Ha diretto Il diavolo e l’acqua santa nel 2020, Il giorno che verrà e Red nel 2022. È autrice dell’antologia di racconti horror Ombre e sussurri e attualmente presta la sua voce per altre produzioni di animazione come Breath: A Half Life Story per la regia di Alessandro Rindolli e Lo chiamavano Marcus un film storico indie ambientato nel medioevo, per la regia di Matteo Pagliarusco.


Questo articolo è pubblicato nelle rassegne Figlie di Boadicea e Cinema Low Budget.

Simon Gusman
Simon Gusman
Viaggiatore compulsivo. Per molti anni ha vissuto in Chiapas dove ha conosciuto il Subcomandante Marcos. Al momento vive a Granada.

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