Karaoke Tomato Ketchup / Teatro / Intervista

Karaoke Tomato Ketchup Arti Performative / Teatro / È lo spettacolo a firma di Pietro Giacomo Barbanente, Ornella Bavaro e Salvatore Coscione  che debutterà a Milano al Teatro della Contraddizione dal 6 al 9 febbraio 2025. 

La drammaturgia a tre mani si ispira alla poetica e alla vita di Shūji Terayama, regista teatrale e cinematografico, poeta e drammaturgo giapponese del Secondo Dopoguerra, tra i maggiori esponenti della Japanese New Wave (ヌーベルバーグ). Un autore divenuto celebre per la sua arte radicale e controversa. 

Lo spettacolo richiama nello stesso titolo il lungometraggio L’imperatore Tomato Ketchup del 1971, tra i film più estremi del regista con scene di nudo, sesso e violenza (non certo infrequenti nel suo cinema) ma che qui hanno per protagonisti dei bambini.

Ma per Barbanente, Bavaro e Coscione, Terayama è solo il punto di partenza per formulare una visione del tutto personale, un’inedita forma di teatro popolare. Il linguaggio adottato dagli autori rompe, infatti, i confini tra generi shakerando danza, teatro, voce, canto e mimo e accorciando la distanza tra pubblico e attori.

La ricerca sulla cultura Pop del Sol Levante è ravvisabile sin dall’incipit dell’opera che propone allo spettatore un mondo post apocalittico devastato da un’esplosione nucleare, la messa in scena di un incubo che non ha mai smesso di perseguitare i giapponesi, trauma mai elaborato, per il quale non esiste rimedio. L’unico modo per affrontarlo è quello di raccontarlo all’infinito: da  Godzilla, passando per Ken il guerriero, e ad Akira… 

I tre protagonisti persi tra le strade di una metropoli immaginaria, una sorta di Neo Tokyo attraversata da un fiume di ketchup, «provano a ricostruire un nuovo mondo giocando con i detriti della cultura globale».

A fare da trait d’union tra i diversi quadri di cui si compone lo spettacolo, non poteva che esserci il karaoke, tra le forme di intrattenimento più popolare non solo in Giappone, dove è stato inventato negli anni ‘70, ma nell’intero orbe terracqueo! Da noi lo ha sdoganato Fiorello, in Finlandia ci cantano le canzoni Death Metal e persino Kim Jong Un non si è azzardato a bandirlo, anche se a Pyongyang tocca prenotare una stanza privata in un noraebang, e intonare un pezzo dei BTS può costare molto caro.

Karaoke Tomato Ketchup
Karaoke Tomato Ketchup / ph. Tommaso Conti
Come vi siete conosciuti? E come è nata la vostra collaborazione artistica?

Ci siamo conosciuti durante gli anni di formazione all’Atelier Teatro Fisico di Torino. Pietro e Salvatore hanno da subito iniziato a collaborare con un progetto a metà tra autofiction e teatro di narrazione, dal titolo IXXFORMER FISICI. La collaborazione con Ornella è arrivata un paio d’anni dopo, da una sua idea di messa in scena: avrebbe voluto Pietro e Salvatore in scena come due statue, rianimate da una bomba atomica. Da lì, il lungo percorso per arrivare a Karaoke Tomato Ketchup, l’inizio del nostro legame artistico, che si è consolidato anche condividendo workshop, intensivi, andando a teatro insieme, scambiandoci libri e mangiando buon cibo. 

Perché avete deciso di sviluppare uno spettacolo ispirato alla poetica e alla vita di Shūji Terayama? Cosa vi lega a questo artista?

Avevamo voglia di creare un progetto assieme. Per farlo, siamo partiti da interessi che ci accomunano: i b-movie, i freak show, Akira, il clown, le avanguardie, Mina, la comicità grottesca, il Perreo, Sailor moon, Frigidaire, la fotografia di Araki. In un giorno qualsiasi ci è apparso, in internet, Shuji Terayama. La sua vita ci ha affascinati. Instancabile provocatore e brillante ribelle, è riuscito ad esprimersi con ogni mezzo. Il suo cinema ci ha stregato: di fatto è il perfetto mix tra immagini kitsch, suggestioni lisergiche, condite da pratiche kinki e capricci apocalittici. La sua poetica, che può appartenere sia ai dittatori che ai rivoluzionari, ci ha commosso e stimolato, nella sua fetida delicatezza. 

S.T. ha donato al mondo immagini talmente sconcertanti da diventare materiche e di difficile contemplazione; è questo suo grande coraggio che ci lega a lui. Dopo aver condizionato il nostro immaginario e la nostra idea di messa in scena, Terayama ha smesso di essere centrale nel nostro lavoro. Le nostre strade si sono divise, soprattutto quando ci siamo resi conto che, se fosse ancora in vita, forse, non avrebbe apprezzato totalmente la nostra ricerca. Ci azzardiamo timidamente a dedicargli lo spettacolo. 

Karaoke Tomato Ketchup
Karaoke Tomato Ketchup / ph. Tommaso Conti
Da dove salta fuori il titolo Karaoke Tomato Ketchup?

Avevamo bisogno di un titolo che accompagnasse ritmicamente le azioni dello spettacolo: come nel ‘Jo-ha-ky-’ , principio legato al controllo del movimento in svariate arti giapponesi. Tutto è partito dalla visione della prima versione di un film di Terayama dal titolo “Emperor tomato ketchup’’, in cui due militari si contendono i detriti di una città distrutta e senza tempo. Il karaoke trova posto nel titolo per il fondamentale ruolo che assume nello spettacolo: è il rifugio dei personaggi. Il ketchup appare fisicamente come simbolo della sopravvivenza granitica del colonialismo culturale e del capitalismo. Difatti, i tre si cibano di ketchup poiché è l’unica cosa commestibile rimasta tra i detriti e dà loro l’illusione di essere in forze. 

Venite da esperienze affini ma diverse, eppure lo spettacolo è frutto di un lavoro collettivo, come siete approdati a una sintesi? Di quali linguaggi vi siete serviti? Potete raccontarci il processo creativo dello spettacolo?

Le nostre differenze hanno da subito creato confusione, le proposte si alternavano in modo disordinato. Con il tempo, abbiamo imparato a creare un metodo di lavoro preciso: Ornella ha cominciato a curare le simmetrie fisiche e le tecniche di floorwork; Pietro, le trasformazioni dei nostri corpi per condurci in altri mondi espressivi; Salvatore si è concentrato sull’organicità della recitazione ed emissione vocale. Affrontiamo giornalmente esercizi vocali, di danza, acrobatica, biomeccanica teatrale, forme di arti marziali. Cerchiamo sempre di introdurre nuove pratiche per ampliare le possibilità di creazione. 

Karaoke Tomato Ketchup è uscito fuori da una serie di esplorazioni tematiche unite ad un approccio molto fisico del lavoro: la violenza, l’amore e la memoria.  Siamo partiti da improvvisazioni che pian piano hanno confermato delle scelte. Un giorno danzavamo, l’altro cantavamo al karaoke, l’altro ancora recitavamo haiku con tacchi a spillo e parrucche. Selezionavamo immagini e scene da cui partire per vedere fin dove potevano arrivare e, spesso, diventavano tutt’altro. Sono almeno un paio d’anni che cerchiamo di dare una forma definitiva allo spettacolo (ahahaha), ma abbiamo capito che cambierà e crescerà sempre insieme a noi.

Shūji Terayama è stato un esponente di spicco del movimento teatrale underground Angura. Tra le caratteristiche di questo modo di concepire l’arte scenica c’è di sicuro l’abbattimento di ogni confine tra interpreti e pubblico. In particolare, negli spettacoli di Terayama talvolta gli attori si scagliavano contro il pubblico, provocando risse, contusioni, incidenti di vario genere, denunce. Voi che rapporto avete con i vostri spettatori? Potete garantire che non vi scaglierete contro il pubblico?

No, non possiamo garantirlo… Scherziamo! Proprio come in una serata karaoke, il rapporto con il pubblico è ludico, ma rispettoso. L’obiettivo dei nostri personaggi è quello di far cantare le persone, di stabilire un rapporto dolce e nostalgico con loro. La nostra formazione è passata anche attraverso lo studio del clown che, grazie ai suoi fallimenti, crea un legame intimo  con il pubblico. Viviamo la rottura della quarta parete come una rimpatriata con vecchi amici, dopo anni di lontananza che non vediamo l’ora di riabbracciare. 

Sin dalle prime scene del vostro spettacolo (l’incubo atomico è un topos delle narrazioni nipponiche) si percepisce una forte ispirazione alla cultura popolare giapponese, anime, manga, il cinema di Tetsuo ecc. Oggi il Paese del Sol Levante è alla ricerca di una riappropriazione culturale (lo dimostra la recente riscoperta di autori come Mishima) per affrancarsi dall’omologazione culturale imposta dal globalismo. Le tre misteriose figure di Karaoke Tomato Ketchup, sopravvissute al disastro, che mondo nuovo sognano? Con o senza differenze?

Sin dall’inizio, interessandoci a una cultura alla quale apparteniamo solo di riflesso, eravamo coscienti di correre il rischio di cadere nell’errore di rendere stereotipato il contenuto del nostro lavoro. Costruendo la drammaturgia di Karaoke tomato ketchup, abbiamo cercato di contattare schemi narrativi tipici del Giappone e abbiamo adottato un immaginario preso in prestito dalla cultura popolare giapponese. Cercando di evitare di cadere in futili orientalismi, ci siamo concentrati sugli anime, in particolare Akira e Tokyo godfather e ne abbiamo estratto l’essenza. I nostri personaggi, come molti “eroi” dei manga, sopravvivono a una catastrofe; non hanno una “patria”, una memoria, e sognano di poter ricostruire il mondo attraverso le parole che si trovano in vecchie canzoni d’amore. Sono dominati da desideri inafferrabili e da una profonda nostalgia per un presente mai realizzato. 

I tre, in parte, vedono le differenze come una velleità e, per praticità, abbiamo cercato di educarli a fare gesti il più possibile non ascrivibili a culture specifiche. Provate a scrivere su spotify o su youtube “Karaoke” e uno Stato qualsiasi, per esempio Hanguk 한국 (Corea del sud): generalmente uscirà una Playlist che raduna qualche hit locale in cui, anche se emergono elementi legati al folclore e alla storia del luogo, ci saranno similitudini con hit di altre nazioni. I nostri personaggi si muovono in un universo appiattito dalla cultura pop, ovviamente postcoloniale. Non sappiamo se sognano un mondo senza differenze, ma di certo (credono che sia l’unico) ci sono totalmente immersi. 

Karaoke Tomato Ketchup
Karaoke Tomato Ketchup / ph. Tommaso Conti
Dichiarate che Karaoke Tomato Ketchup è un sogno e fate esplicito riferimento a un immaginario surreale. In generale, non solo nel teatro ma anche nell’arte visiva o nella letteratura, il surrealismo sta sperimentando una nuova rinascita. Non si tratta solo di un movimento artistico ma di una vera e propria filosofia. L’esplorazione della soggettività onirica consente una straordinaria libertà di associazione, non imbrigliata dalla logica ordinaria. Qual è oggi il senso di una nuova arte surrealista?

Partiamo dal presupposto che ogni nostro spettacolo è diverso e fa riferimento a spunti culturali a sé stanti. Karaoke Tomato Ketchup è materia sognata: non è un’esperienza lucida, ma una dolce allucinazione.  Il surrealismo e il senso straniante e profondamente simbolico di cui i movimenti del ‘900 si sono fatti vettori, emerge oggi con estrema crudeltà in video prodotti con il supporto dell’intelligenza artificiale, che danno l’impressione di essere sognati da un immaginario collettivo incosciente e abbastanza imbranato (vedi l’articolo Le allucinazioni dell’intelligenza artificiale, ndr). Crediamo che in parte sia proprio questo il punto di forza dell’arte surrealista: entrare nell’intimo del fruitore, confondendo le certezze e creando nuovi simboli complessi, convincendolo ad accedere in aree inaspettate della coscienza. Questo potrebbe sicuramente essere il legame tra Karaoke Tomato Ketchup e il surrealismo, entrambi mirano alla scomposizione della realtà. 

Voi perché avete scelto il karaoke come «la base della vostra ricerca»?

Il termine Karaoke deriva dal giapponese “orchestra vuota”: questa definizione ci fa venire i brividi. 

Una sera, durante una serata Karaoke a Torino, Pietro stava cantando il suo cavallo di battaglia: La vida loca. Quando ad un certo punto, nel bel mezzo della canzone, uno dei locals simula di ricevere una chiamata da Ricky Martin, passa il telefono a Pietro: “Pronto Ricky? sei un grande! è incredibile che hai chiamato proprio adesso” … Prendersi poco sul serio è una faccenda seria (ahahaha). 

Ornella lascia la pizza e si propone per cantare Non sono una signora: nasce un duetto con il cameriere che nel brano riconosce la sua infanzia. 

Poco dopo, Pietro ritenta con Lu pisce Spada, di Domenico Modugno: l’imbarazzo cresce; ormai è lo zimbello della serata. Subito, un gruppo di persone di mezza età, provenienti dal sud Italia si chiedono se Pietro abbia qualche legame col sud e Pietro conferma. Iniziano così a condividere esperienze di migrazione verso nord, lavoro in fabbrica e ricette. Salvatore quella sera non ha cantato. Però ci teniamo a dirvi che durante una replica di Karaoke Tomato Ketchup ha regalato ad un ragazzo tra il pubblico una vecchia foto di suo padre con Fiorello (ahahahah).

Arriviamo al punto (ahaha): il Karaoke è un incontro. Il Karaoke ha un potere ludico e trasversale, abbatte le barriere della perfezione, rendendo ogni esitazione e ogni stonatura parte integrante della narrazione. Siamo abituati ad una cultura che sempre di più premia l’intelligenza logica e il pensiero razionale, tendendo a sopprimere l’abilità di essere sensibili, stupidi, imperfetti e goffi.  L’errore e la stupidità sono tra i campi di ricerca più fertili. 

Ogni esibizione al karaoke è un piccolo atto di liberazione, poiché offre alle persone la possibilità di scegliere una canzone e cantarla, lasciandosi andare all’emozione del momento. Il karaoke ci affascina anche perché, partendo da un presupposto musicale, spesso legato al panorama commerciale, permette, in luoghi lontani dai centri di produzione culturale, di vivere qualche momento di celebrità. 

Ci piacerebbe avere una sorta di Karaoke oracolo, capace di leggere la persona che si appresta a cantare, proponendo il brano più adatto al suo stato del momento. Spesso non abbiamo il coraggio di cantare quella canzone che ci piaceva alla scuola media, con la quale abbiamo pianto per il primo amore, e ci difendiamo. Sarebbe molto più utile, ogni tanto, disarmarci e cantare, imbarazzati e vulnerabili. 

Ma poi, quanto è appagante scimmiottare dive del passato o musicisti pop? 

Karaoke Tomato Ketchup
Karaoke Tomato Ketchup / ph. Tommaso Conti
La tracklist della vostra serata di karaoke ideale?

Vida loca, Non sono una signora, Dragostea Din Tei, Obsesion, Rossetto e cioccolato, Like a virgin, Maledetta primavera, Non dirgli mai, Back to black, Because the night, Sere nere, Aserejé, Il galeone, Centro di gravità, Cercami, La noia, Habibi, Amarsi un po’, Cornutone (in base al contesto), Alor on danse, L’amour tojour, Gigi l’amoroso, sigla Pokemon (potremmo continuare, ma ci fermiamo qua, ahahah)

Il teatro avant-garde giapponese, ma non solo quello giapponese, mirava a scioccare il pubblico per provocare forti reazioni emotive. È ancora possibile sorprendere gli smaliziati spettatori di oggi, assuefatti alle performance della Abramovich e ai crocifissi annegati nel piscio di Andres Serrano?  

In parte conduciamo delle esistenze piuttosto comuni e le difendiamo, evitando di “sacralizzare” le nostre figure di artisti. Aspiriamo a produrre una nuova forma di teatro popolare.  Per quanto il nostro gusto personale sia aperto a varie esplorazioni artistiche e ricerche performative, non cerchiamo di scioccare usando il corpo come un oggetto da rompere o il pubblico come facile bersaglio. Anzi, se non ben motivate rispetto al contesto, troviamo queste scelte anacronistiche.

Cerchiamo quotidianamente di migliorare le nostre abilità di presenza e di essere credibili, per permettere al pubblico di empatizzare e riconoscersi. Di noi è questo che può sorprendere, per ora: la possibilità di emozionarsi accettando la verità dell’azione in scena, qualsiasi essa sia. Non siamo alla ricerca di linguaggi per sconvolgere gli spettatori, ma integriamo nella nostra drammaturgia visioni iconoclaste e di rottura, conducendo chi guarda in un immaginario allo stesso tempo eclettico e ben definito.

Non è facile sorprendere la spettatrice oggi, tante ricerche in ambito performativo hanno tentato negli anni di tenere alto il livello di stupore e spiazzamento. Dal nostro punto di vista Terayama aveva la risposta, noi no (hahahaha). 

Cosa pensate della scena teatrale italiana contemporanea?

Beh dipende, l’Italia è il paese con l’arte migliore al mondo, per non parlare del cibo e solo gli italiani…ahahahah scherziamo! Diciamo che in parte ci piace, in parte la troviamo retrograda, a volte retorica, e spesso pensiamo che scopiazzi un po’ dalle grandi piazze internazionali senza arrivare al succo. Ci sono molte piccole realtà emergenti che come noi cercano di sgomitare per essere viste; noi spesso abbiamo l’impressione di non riuscire a essere considerati perché non abbiamo un grande storico, cv importanti e folte collaborazioni (a parte Ornella che ha un cv incredibile ahahaha) ecc… Dovrebbe esserci spazio per tutti nella programmazione dei teatri.

Un po’ di rabbia a volte ci prende quando pensiamo a quanto il circuito off italiano spesso non abbia il coraggio di esserlo davvero: rimane legato ai generi, come in una trappola, invece di stimolare progetti ibridi. Così, il sistema pare ingessato e ripetitivo, sicuramente per via di motivazioni anche economiche; si chiamano sempre le stesse artiste ed è raro che si dia spazio a drammaturgie veramente contemporanee.

Come già spiegato in precedenza, nel nostro lavoro teniamo molto al pubblico: non ci basta la produzione del “discorso” sull’arte o l’innovazione fine a se stessa. I cartelli di produzione non sono abbastanza audaci e le programmazioni ne risentono; spesso siamo illusi dall’idea che la cultura possa da sola elevarci, ma non basta.

Bisognerebbe mettere in discussione costantemente i contenuti, le tecniche, e non parliamo dell’idea per la quale il nuovo vince su tutto: dovremmo trovare il modo di inglobare nuove pratiche di fruizione e confronto, al di là di preconcetti e gusti personali. È difficile lavorare nel teatro, ma è fondamentale e lo sarà sempre: ritrovarsi nello stesso luogo a condividere il mondo, attrice e pubblico.

Karaoke Tomato Ketchup è una chimera. Siamo il nuovo calcio e vi vogliamo bene.

Ringraziamo con molta cura il Teatro della Contraddizione e Ɐ Revolt Magazine per aver creduto nel nostro progetto e averci dato spazio. 

Karaoke Tomato Ketchup
Karaoke Tomato Ketchup / ph. Tommaso Conti

Ornella Bavaro nasce a Bari, è una danzatrice interessata alla contaminazione tra le arti. Incontra la butoh e il teatro fisico, approfondisce negli anni una forte ricerca sul movimento; la musica il gioco e il teatro sono la sua vita.

Pietro G. Barbanente nasce a La Spezia, è un attore e performer multidisciplinare, dopo una breve esperienza giovanile come pittore e scultore, si innamora ed esplora il mondo del teatro e della danza. Crede che le arti siano il mezzo più sofisticato per esplorare il mondo.

Salvatore Coscione nasce a Aversa, è un attore con grande apertura al movimento. Il suo obiettivo è ricercare la verità nel teatro; si dedica, infatti, ad uno stile scenico basato sull’attenzione profonda per l’azione e l’uso approfondito della voce.

Simon Gusman
Simon Gusman
Viaggiatore compulsivo. Per molti anni ha vissuto in Chiapas dove ha conosciuto il Subcomandante Marcos. Al momento vive a Granada.

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