Eva Bharadvaja / Arti figurative / Fotografia / Interviste / Proviene dal nord dell’India ed è arrivata in Italia nel 2022. La sua è un’arte che mischia la spiritualità e la psichedelia, un sinolo di materia (Ispirato allo stile di USCO The Company Of Us) e forma (l’energia degli dei indiani).
I suoi quadri raffigurano divinità, come quelli di un’altra artista contemporanea di origini indiane, Sheba Chhachhi, che in modo meno esplicito si richiama al politeismo indù. Ma i colori ipersaturi che caratterizzano la sua produzione sono più in linea con lo stile simbolista e vibrante di Mati Klarwein.
Lo storico dell’arte Aby Warburg nel suo saggio Il rituale del Serpente afferma che le immagini hanno un potere psichico in grado di guarire o ferire. Eva condivide questa teoria quando sostiene che l’arte è prima di ogni altra cosa cura, sia per chi la crea, sia per chi la osserva. I suoi quadri hanno un effetto taumaturgico. Le sue tele sono pervase dal divino, sono oggetti sacri, rituali, vettori di un’energia ancestrale e salvifica. La sua è in sintesi arte viscerale che imprime nell’opera le emozioni più profonde grazie a un originale vocabolario di forme e colori, in cui ogni elemento pittorico, anche il dettaglio più insignificante, ha un significato preciso.
Colori netti, non sfumati, frattali, simboli sono le lettere di un alfabeto delle emozioni di cui Eva si serve per comporre delle vere e proprie puja (preghiere indiane) visive.
Tutto il suo lavoro è teso ad aprire le porte della percezione e a vivere in pace con le varie parti della propria identità. Vuole suggerire che ci sono mondi invisibili, dimensioni misteriose da attraversare con il potere della mente. L’arte di Eva Bharadvaja è un invito a intraprendere questi itinerari e liberarsi dal dolore.
Non è un caso se il sostantivo psichedelico derivi da due lemmi greci: ψυχή (Psiche) e δηλόω (rivelare) il cui significato è quindi rivelare l’anima.
In copertina: Life from micelium (2024)

Come e quando hai deciso di dedicarti all’arte? Quali sono stati i fattori che hanno inciso maggiormente sul tuo percorso artistico e sulla tua ricerca?
Faccio arte da quando ho quattro anni. Mia zia era un’artista e mi incoraggiava a esprimere la mia creatività. Posso dire di aver disegnato per tutta la vita. Da bambina, per lo più riproducevo figure umane e sognavo di fare la stilista. A 19 anni ho iniziato a fare murales, alcuni su commissione. Nonostante quei primi lavori retribuiti, non ero sicura di fare dell’arte la mia professione. In quegli anni frequentavo l’università, il mio piano di studi prevedeva corsi di economia e pittura. Terminata la sessione di esami, il mio migliore amico mi ha convinto a intraprendere un viaggio in solitaria per Rishikesh, un viaggio che ha rivoluzionato la mia vita. Tanto per cominciare, in questa città dell’Uttarakhand ho conosciuto mio marito, un segno del destino. Lui stava girando l’India in moto e una serie infinita di coincidenze ha favorito il nostro incontro. E quel viaggio ha condizionato anche la mia decisione di fare dell’arte la mia vita. Ricordo che avevo finito i soldi, ma non avevo nessuna intenzione di tornare a casa, così mi sono sostenuta con i murales. Quei giorni ho capito quanto amassi quel lavoro e ho scoperto di poter vivere di quello che mi piaceva. Di lì a poco sono arrivati anche gli esiti dei miei esami di economia, pessimi! La decisione ormai era presa.
Come hai iniziato?
Il mio docente di pittura, Chaman Sharma, mi ha incoraggiata a iscrivermi al biennio di pittura della Kurukshetra University. Era il 2019, è stato un momento di svolta.
In quei primi anni di formazione, i professori mi hanno dissuaso dal dipingere divinità indiane. Non era un vero e proprio divieto, ma un’esortazione molto insistita. Vengo da una famiglia indù molto tradizionale e molto devota, una famiglia brahmin. Sentivo il bisogno di rappresentare la mia cultura, ma non volevo mettermi in contrasto con i docenti. Così, all’inizio mi sono dedicata ad alcuni soggetti come le piante medicinali e al nudo, mettendo in relazione il corpo umano con la natura, in special modo ho lavorato su figure femminili. C’è un’evidente relazione tra il corpo della donna e la Natura intesa come Madre Natura, così come tra il corpo della donna e il ciclo di vita e morte. A partire dal 2021 ho iniziato a fare anche tatuaggi. Terminati gli studi mi sono potuta esprimere più liberamente.
Kali, Shiva, Ganesh hanno finalmente trovato spazio nelle mie tele, ma anziché rappresentarli secondo i dettami della tradizione, ho adottato uno stile psichedelico .
Dipingendo le divinità indiane riesco a trasmetterne gli insegnamenti e, per certi versi, l’essenza che trascende il loro aspetto. Eppure è proprio grazie alla loro rappresentazione visiva che noi siamo ispirati a vivere una vita secondo virtù.
La scelta di abitare a Milano è stata voluta o casuale?
Ho deciso di trasferirmi in Italia, a Milano, per poter stare vicino al mio fidanzato, oggi mio marito. Eravamo entrambi stanchi di vivere una relazione a distanza. Ogni volta che dovevamo dirci ‘arrivederci’ mi sentivo incredibilmente triste. Ho lasciato il mio Paese solo per poter vivere con lui.
In Italia ho inaugurato le mie prime mostre personali, la prima in assoluto a Carrara, poi altre due proprio a Milano. È una città che sto scoprendo a poco a poco.
Quali sono i tuoi maestri?
I miei maestri sono Chaman Sharma (@chaman238), che ho già citato. Lui si impegna a motivare tutti i suoi studenti. Quando critica non lo fa mai in modo distruttivo. Se oggi dipingo lo devo anche ai suoi incoraggiamenti. Anche Ram Viranjan (@rviranjan_artist) che ha sempre accolto le mie idee ed è stato il mio docente di composizione. Non ha preteso che imitassi il suo stile, anzi mi ha aiutato a trovare la mia ‘voce’. Inoltre è stato il mio mentor per la mia tesi sull’arte psichedelica.
Per quanto riguarda i riferimenti artistici, non posso non citare G. R. Santosh, Frida Kahlo, Pablo Amaringo, Alex Grey e Amrita Sher-Gil.

Nel corso dei tuoi studi hai voluto approfondire l’indagine sull’arte psichedelica. Quali aspetti ti attraggono, in modo particolare, di questa corrente? E cosa pensi delle sostanze psicotrope?
Amo questa corrente per due ragioni, il suo valore psichico e il suo valore visivo. È un’arte che ha un’incredibile valenza terapeutica. Ha un effetto curativo sul soggetto che contempla l’opera. Inoltre offre la possibilità di scorgere dimensioni alternative, dimensioni sottili, energetiche, ancestrali. E se si è sotto effetto di un trip, queste opere hanno un potere ancora più dirompente.
Gli aspetti visuali che mi attraggono sono i colori ipersaturi, l’utilizzo di forme geometriche e di frattali. Sul piano del contenuto: i concetti spirituali e metafisici, le riflessioni sugli stati psicologici e i soggetti legati alla Natura. Si può spaziare dal dipingere divinità, come nel mio caso, o rappresentare un concetto o la coscienza umana. Si possono trasferire sulla tela le visioni dei sogni o delle allucinazioni. L’artista psichedelico dispone di una totale libertà. Non ci sono limiti alla sua espressione. Deve solo entrare nel flow e seguire l’istinto. Nient’altro.
Ho sempre studiato con interesse le sostanze psicotrope come funghi, LSD, DMT. Credo siano un viatico per esplorare mondi interiori sconosciuti. Queste sostanze ti permettono di rinascere, di aprire nuove prospettive. Di essere in contatto con te stesso. Nei trip psichedelici, tutto ciò che vedi è una manifestazione della tua mente. Ci sono pensieri che nella vita quotidiana restano nascosti, come materiale subconscio e inconscio ma, a nostra insaputa, influenzano le nostre vite e le nostre scelte. Il viaggio psichedelico svela tutto. Accettare che tutte queste immagini sono manifestazioni mentali accumulate in questa vita o in vite passate permette di guarire e di essere liberi dai vecchi schemi psicologici e comportamentali.
I tuoi soggetti più ricorrenti sono divinità indiane, come motivi questa preferenza? Riesci ad articolare modernità e tradizione?
I soggetti sono tradizionali, è vero, ma raffigurati con lo stile psichedelico esploso negli anni ‘60. Credo che gli artisti in India siano così interessati ai temi religiosi perché la pittura stessa è una pratica spirituale. La pittura non è molto diversa da una cerimonia liturgica. Dipingere può essere anche una preghiera. Consente di portare a galla l’ignoto, di fare emergere materiale narrativo dal subconscio al conscio, dal regno delle emozioni a quello della ragione, da una dimensione all’altra dimensione. Non sai mai cosa verrà fuori, è un processo spontaneo. È come la magia o il parto, si tratta, semplicemente, di rendere visibile qualcosa che prima era invisibile.
Per te la spiritualità e la pratica della meditazione sono importanti, influenzano anche la tua visione del mondo?
Sì, perché permettono di vivere di più nel qui e ora, fanno apprezzare i momenti semplici. Consentono di vivere in pace e di provare compassione per gli altri esseri viventi. Ci sono tante pratiche spirituali, si deve solo trovare quella che funziona singolarmente. La meditazione aiuta a essere più stabili, a mantenere l’equilibrio anche nei momenti più complicati. Rafforza mentalmente e purifica. Meditando con gli occhi chiusi, si visualizzano i propri schemi di pensiero, e ci si comprende più a fondo. Se tutti meditassero, probabilmente non ci sarebbero più guerre.

Oltre alle divinità indù, tra i soggetti che prediligi c’è quello che definisci natura femminile divina. Mi viene in mente uno dei tuoi quadri In Her Temple (2023) dove al centro della composizione c’è una vulva, circondata da templi. Qual è lo specifico di essere donna, secondo te, oggi?
Essere una donna significa essere una creatura che può dare la vita. Essere una donna significa amare e creare. Anche se una donna non partorisce è naturalmente madre. Essere donna significa essere shakti, cioè possedere l’energia della forza vitale, l’energia a fondamento di tutto il creato. Quella stessa energia che in sanscrito si traduce con la parola Māyā.
Le donne hanno gli organi riproduttivi interni e non è un caso se le qualità femminili riguardino l’introspezione, le emozioni e, in generale, la vita interiore. Purtroppo la società sembra preoccuparsi solo dell’esteriorità.
Ti riconosci nelle istanze femministe?
Non saprei dire se mi posso considerare una femminista, ma di sicuro le femministe mi piacciono.Comprendo la loro rabbia dopo millenni di oppressione maschile. Anche io provo rabbia per le donne che hanno sofferto.
E cosa pensi della condizione femminile in India?
In India ogni indù onora e rispetta Kali, Durga, Lakshmi. Ma quando quegli stessi uomini si rapportano con le donne si dimenticano della loro venerazione per queste divinità femminili. Questo problema deriva dall’educazione tradizionale che tende a favorire i maschi. Le nuove generazioni, però, stanno lottando questa società misogina. Dopo il brutale stupro e omicidio di una tirocinante nell’ospedale universitario R G Kar di Calcutta sono esplose proteste e manifestazioni in tutto il Paese.
E questa rabbia delle donne la puoi riconoscere nella mia opera Kali. Ho dipinto questo quadro in un periodo della mia vita in cui stavo sperimentando quel dolore, quel senso di impotenza. Dipingere Kali mi ha aiutata a canalizzare quelle emozioni e a trasformarle in qualcosa che mi dà forza.
Come inquadreresti il tuo stile pittorico?
Il mio stile pittorico è essenzialmente realista, ma influenzato anche dall’impressionismo e dal surrealismo. È uno stile visionario e psichedelico. Mi piace sperimentare con tecniche diverse: acquerello, olio, acrilico, matite, ma prediligo olio e acrilico. Dall’anno scorso ho iniziato a sperimentare con la tecnica layers and washes. La tavolozza cromatica vibrante fa emergere distintamente le qualità di ogni singolo colore. I colori hanno un potere terapeutico. Per esempio, blu e viola calmano, il rosso e il giallo caricano di energia, l’arancio o il verde provocano piacere, il bianco favorisce la concentrazione, il marrone concede senso di protezione ed esorta a stare con i piedi per terra. Saturare i colori mi consente di amplificare al massimo grado queste sensazioni. I colori sono indispensabili nella vita di tutti i giorni, hanno uno straordinario potere che la gente ignora, sono la lingua delle emozioni e della psiche.
Sapresti indicare le fonti della tua ispirazione e come queste si traducano nel tuo modus operandi?
I miei quadri sono la traduzione di forti emozioni che ho sperimentato in prima persona. Non solo i colori, ma anche il modo di pennellare varia a seconda dell’emozione che vivo. È l’emozione a guidare la mano. Per molte opere l’ispirazione ha origine dalle mie allucinazioni che cerco di catturare e fissare sulla tela. Talvolta cerco di accordarmi con il mio flow interiore e dipingo senza pensare, un po’ come nella scrittura automatica. Un viaggio psichedelico è sempre ricco di simboli e immagini straordinarie, è una fonte inesauribile per un artista.

C’è un’opera alla quale tieni di più e perché?
Kali perché mi ha aiutata molto e per i suoi attributi femminili. Kali è una madre di nascita e morte. Il suo nome in indì significa nero. Simboleggia la trascendenza dell’ego. Con il suo sostegno possiamo liberarci dalla nostra identità e dal fardello delle molte personalità accumulate nel corso delle vite passate. Si disseta bevendo sangue e usa i serpenti come gioielli. È l’incarnazione più terrorizzante di Mata Parvati, la moglie di Shiva, tanto Parvati è dolce e accomodante, tanto Kali è arrabbiata e aggressiva. Incarna caratteristiche maschili in un corpo femminile, e in questo senso è speculare a Krishna. Credo che tutte le donne hanno bisogno di Kali. Hanno bisogno di essere connesse con la propria dimensione maschile. Secondo le scritture vediche, noi stiamo attraversando il Kali Yuga, un’epoca oscura, caratterizzata da numerosi conflitti e da una diffusa ignoranza spirituale che induce gli uomini a credere solo negli aspetti più superficiali e materiali della realtà.

Affermi che la tua arte può guarire. Ti va di approfondire questo concetto?
Ogni singolo elemento della mia arte partecipa a questi effetti curativi, l’idea da cui origina l’opera, i colori che scelgo, i soggetti, la pressione che applico al pennello e anche i sentimenti che provo mentre dipingo impregnano la tela. I miei sentimenti acquisiscono vita. Anche quando vivo emozioni negative il processo di pittura mi aiuta a trasformarle, si depurano dalla loro negatività. E anche le divinità hanno un effetto terapeutico. Ogni divinità ha la sua funzione nel grande dramma cosmico e la loro rappresentazione visiva permette di pacificarsi nel profondo. Le varie forme d’arte: la pittura, la scultura, la musica sono un viatico verso il divino. Per esempio, si usa la puja per Shiva Shakti quando si celebra il matrimonio tradizionale indiano, ma essa rappresenta anche il sacro matrimonio tra il maschile e il femminile. O, Ganesh, un elefante che quando attraversa la giungla non ferisce nemmeno una formica, per favorire dei nuovi inizi. I quadri, che l’artista realizza, ne sia consapevole o meno, sono vettori di una straordinaria energia.
Ricordo di aver venduto un’opera psichedelica che aveva un grande effetto benefico su di me. Raffigurava una gola dalla quale spuntavano due ali. Un’immagine ispirata da una mia visione. È stato difficile separarmi da quel quadro, perché mi bastava guardarlo per sentirmi meglio. Ogni volta che guardi un tuo dipinto l’emozione vissuta si impadronisce di te, quella emozione è il suo significato. Ultimamente, sto lavorando molto su Krishna , è una incarnazione di Vishnu, un dio che invita a ubriacarsi di vita. È così che mi sento adesso, è così che spero si sentirà chi guarderà i miei dipinti.