Mostruoso femminile / Cinema / Nell’horror contemporaneo

Mostruoso femminile nel cinema horror contemporaneoArti Performative / Cinema / Interviste / Seconda puntata dell’intervista con Francesca Lapadula (ricercatrice), Ilaria Monfardini (attrice) e Giulia Reine (regista)  sul mostruoso femminile nel cinema horror contemporaneo. Per leggere la prima parte, Excursus storico sul rapporto tra cinema horror e femminile vai QUI.

Il ‘mostruoso femminile’, tanto nel cinema horror classico quanto in quello contemporaneo, è spesso messo in relazione con il corpo delle donne, con le loro abitudini sessuali e le loro capacità riproduttive. In questo senso un film emblematico è Carrie, in cui la protagonista acquisisce poteri soprannaturali con l’arrivo del primo sangue mestruale, quando entra nella pubertà e scopre il piacere sessuale, a dispetto dei tentativi della madre di mantenerla eternamente bambina. Dinamiche simili sono raccontate in The Witch o in Raw, dove il cannibalismo diventa metafora degli appetiti sessuali.

Un altro topos degli horror è senza dubbio la maternità nelle sue varie declinazioni, sia nei casi delle madri castratrici, come nel già citato Carrie, o in Psyco, oppure in quei film in cui la gestante sta per partorire un mostro: Rosemary baby, Alien ecc. Perché questo tema è così frequente nella filmografia dell’orrore? È abiezione per il corpo femminile che viene stravolto? O terrore per il mistero della nascita?

In questa seconda puntata, cercheremo di indagare questi temi alla luce della presenza, sempre più rilevante, di autrici donne nel cinema horror contemporaneo. La loro visione può cambiare sostanzialmente il modo in cui il genere guarda alle questioni femminili, o mettere a nudo sensibilità fino a ora rimaste in ombra. Quanto l’appartenenza di genere condiziona la creazione artistica è ciò che cerchiamo di capire dalla voce delle artiste protagoniste di questo importante filone.

Mostruoso Femminile - True Blood (2008) / Lindsey Haun e Evan Rachel Wood
Mostruoso Femminile – True Blood (2008) / Lindsey Haun e Evan Rachel Wood
In molti horror la donna diventa mostro quando scopre il desiderio

Francesca: Condivido. Sia in Carrie sia in Raw è evidente questa associazione tra sessualità femminile e perturbante. E vorrei aggiungere un altro film, un po’ bistrattato dalla critica, Teeth di Mitchell Lichtenstein, una commedia horror a basso budget che mette in scena il mito ancestrale della vagina dentata. Ovviamente c’è un riferimento alle teorie di Freud sull’ansia di castrazione, e c’è anche questa connessione tra sessualità femminile e pericolo. D’altro canto Carrie e Raw riflettono anche molto su quanto possa essere problematico per una donna esplorare la propria sessualità in contesti in cui i desideri sono fortemente regolati, controllati o repressi. In ogni caso disciplinati dall’esterno. Justine, la protagonista di Raw, viene da una famiglia che le ha sempre vietato di mangiare carne. È una chiara metafora della repressione sessuale.

Ma è interessante notare che non scopre di amare il sapore della carne autonomamente, le viene imposto di cibarsi di carne cruda durante un rito di iniziazione del college. Questo sta a dimostrare quanto possa essere difficile per le donne scoprire liberamente la propria libido. Quanto sono forti i condizionamenti della famiglia e della società. Non è un caso se Justine agli occhi del pubblico appare come una vittima e non un mostro. La regista, Julia Ducournau, ha dichiarato che era stanca di vedere rappresentate ragazze che non trasgrediscono mai le regole, un po’ come le Final Girl, voleva raccontare una giovane donna che dà sfogo a tutta la sua rabbia repressa.

Ilaria: Tu hai citato dei film di culto di grandi autori come De Palma, ma anch’io, come Francesca, vorrei aggiungere a questa lista un altro film bistrattato, anche se a mio avviso ingiustamente, Jennifer’s Body di Karyn Kusama. Quando uscì nelle sale tutti si aspettavano di assistere a scene di nudo con Megan Fox. Ma l’erotismo è del tutto assente nel film, le scene di sesso, anzi di violenza ai danni di Jennifer, non vengono mostrate e lei diventa mostro dopo essere stata stuprata da un gruppo di liceali, perdendo in questo modo la verginità. La femmina è sempre stata associata al demonio, e in molti film questo passaggio al male è conseguente alla scoperta della sessualità, nel caso di Jennifer contro la sua volontà. Perdi la tua purezza, ti corrompi e il male si impadronisce di te.

Mostruoso Femminile / Attack of the 50 Foot Woman (1958) / Diretto da Nathan Hertz
Mostruoso Femminile / Attack of the 50 Foot Woman (1958) / Diretto da Nathan Hertz
Come si è evoluto il tema della maternità negli ultimi anni?

Giulia: Io sono da poco mamma e questo genere di film ha una grande risonanza su di me. Comprendo la paura di non sapere cosa ti aspetta davvero. Sai che dovrai partorire un bambino, ma non sai ancora niente di questa persona, del dolore che ti attende, di come cambierà la tua vita. È un salto nel buio. Rosemary’s Baby come pochi altri film sa raccontare queste paure. Un film più recente che ho amato molto è Babadook di Jennifer Kent. Racconta la solitudine di una mamma single, le tante difficoltà che deve affrontare, inoltre suo figlio non è il classico bambino adorabile da sitcom, è un bambino particolarmente problematico, al punto che dopo un po’ ti viene da pensare se non lo ammazza il mostro, ci penso io. Poi, dopo provi rimorso per questi pensieri, ma comprendi anche la frustrazione di questa mamma. Riprendendo quanto si diceva all’inizio sull’importanza di uno sguardo femminile, per trattare tematiche femminili, questo mi pare un esempio particolarmente riuscito, perché mette in scena problemi che molte donne vivono sulla loro pelle.

Poi c’è anche il tema della madre castrante, tanto per dirne una la terribile mamma di Norman Bates

Francesca: Farei una distinzione tra gli autori che raccontano la gravidanza come elemento mostruoso e quelli che invece mettono in luce il rapporto tra madre e figlio/a, per esempio con le madri castranti che citavi tu o ancora mettendo in scena le difficoltà di una madre come nel caso di Babadook citato da Giulia. Tra l’altro, secondo me, l’aspetto affascinante del film della Kent è che esce dalla retorica della madre totalmente abnegata al figlio, che lo ama più della sua vita, e invece può capitare che una donna possa sentire un senso di rifiuto nei confronti di suo figlio.

Per quanto riguarda i film sulla gravidanza a me è piaciuto molto Prevenge scritto, diretto e interpretato da  Alice Lowe. Lo spunto del film è un’esperienza della stessa regista e racconta di una donna incinta che sente la voce della figlia nel suo ventre, la quale le ordina di uccidere alcuni uomini. In questo film non viene sviscerato il concetto di abiezione, ormai un topos di questo filone di horror, ma riflette piuttosto sul concetto di identità: ci sono due persone confinate nello stesso corpo. Per certi versi combina le due categorie che proponevo prima, i film horror sulla gravidanza e quelli sul rapporto madre/figlio. La Lowe, quando ha presentato il film, ha raccontato come, durante la gravidanza, la gente le parlasse solo in funzione del bambino che ospitava. Era come se non esistesse più come individuo. Questa riflessione l’ha portato a interrogarsi su come sarebbe stata la sua vita dopo il parto. La gestazione è un periodo emozionante, però cominci a realizzare che la persona che hai in grembo stravolgerà la tua vita, e questa cosa può spaventare, e questa paura può indurti a rifiutare tuo figlio.

O a realizzare un ottimo film horror

Ilaria: L’esperienza della Lowe mi fa venire in mente Madre! di Darren Aronofsky, dove la protagonista, interpretata da Jennifer Lawrence, vive una situazione simile. La gente la considera solo perché è incinta, è poco più di un involucro. E per restare sul filone del rifiuto della maternità, penso a Swallow di Carlo Mirabella-Davis, nel film, la protagonista non riesce ad accettare questo corpo estraneo che ha dentro di sé e continua a ingerire qualsiasi cosa per danneggiare il suo bambino. Il marito e la famiglia sono allarmati, ma non per l’incolumità della donna, una puntina di disegno inghiottita può essere letale anche per lei, eppure sembrano preoccuparsi solo per i rischi che corre il feto. Lei non esisteva più, la sua vita ormai era solo in funzione del nascituro. E poi c’era quell’altro film, Baby Killer, ve lo ricordate? Davvero un film allucinante, in quel caso però a emergere è soprattutto la figura del padre impegnato a salvare la vita di suo figlio nonostante sia un pericoloso mostro assassino.

Mostruoso femminile / La tigre veste di rosso (2023) / Diretto da Luca Pincini / Ilaria Monfardini
Mostruoso femminile / La tigre veste di rosso (2023) / Diretto da Luca Pincini / Ilaria Monfardini
L’horror è un genere che spesso dà sfogo a pulsioni primarie e a parafilie di vario genere. In questo contesto la donna riveste spesso il ruolo di vittima. ​​Il corpo femminile viene spettacolarizzato attraverso uno sguardo di tipo voyeuristico  e sottoposto a varie forme di violenza. Penso agli slasher già citati o ai torture porn (molto popolari nei primi anni 2000) o ai film d’exploitation. Ancora una volta i destinatari di questi film sembrano soprattutto gli uomini. Le donne apprezzano queste tipologie di film? La leva dell’interesse è il piacere sadico e/o masochistico da parte del pubblico (sia maschile che femminile) che può identificarsi nella vittima e/o nell’aggressore?

Francesca: Non sono sicura ci sia necessariamente una componente o masochista o sadica nello spettatore di slasher. Io ci vedo più un bisogno di catarsi, questo ci spinge a guardare, da una giusta distanza, scene fortemente destabilizzanti. Poi non voglio negare che ci possa essere un pubblico attratto da certe perversioni, ma non sono certa sia la maggioranza. Un film horror è come partecipare a una Escape Room, vivi emozioni forti, l’adrenalina è a mille, ma sei al sicuro, in un cinema o nel tuo soggiorno.

Giulia: Dipende dalla messa in scena, da come sono rappresentate le scene di violenza. Non mancano i film pensati per inorridirti. Il regista, a seconda della sua sensibilità, mostrerà il giusto, saprà farti vedere quel che serve e immaginare il resto. Ci saranno anche quelli che vogliono solleticare fantasie deviate. Io apprezzo molto il cinema orientale. In particolare i film coreani che fanno largo uso di scene di violenza efferata, eppure hanno l’abilità di proporti qualsiasi contenuto con naturalezza. Nel film occidentale percepisci il momento in cui il regista vuole calcare la mano per scioccarti, nei film coreani questo non accade. Quando ho visto  I saw the devil diretto da Kim Jee-woon ho assistito a scene raccapriccianti ma non le ho mai percepite come di troppo. Anzi, erano assolutamente necessarie per quel tipo di narrazione.

Vi riporto le dichiarazioni del regista Damien Leone che è stato criticato per l’eccessiva esposizione di violenza contro le donne nella serie Terrifier: «Ignoro le critiche del tutto a livello personale perché sono la cosa più lontana da un misogino, ma la violenza contro le donne è una componente molto presente nel genere slasher, così come la final girl. Questo è il trope classico ed è più profondo di quanto si creda. Storicamente, gli uomini sono più selvaggi e brutali delle donne. È nella natura dell’uomo combattere l’uno contro l’altro, conquistare terre, cacciare, ecc… Il cattivo è molto più riprovevole se è uno psicopatico maschio che attacca una donna vulnerabile. Questo rende il personaggio più efficace e più inquietante su molti livelli e il pubblico dieci volte più empatico nei confronti della final girl, ed è esaltante fare il tifo per lei». Cosa ne pensate?

Francesca: Trovo il discorso di Damien Leone un po’ retrogrado. L’uomo cacciatore per natura, la donna vulnerabile… I registi, anche involontariamente, soprattutto quando si cimentano con generi così codificati come lo slasher, tendono a seguire pedissequamente ogni regola, a proporre ogni trope magari, e questo non fa che reiterare i soliti stereotipi, come la donna vittima. Ma, personalmente, i film che più mi affascinano sono quelli che sanno sorprendermi e che ribaltano certe consuetudini. A questo proposito mi viene in mente A Girl Walks Home Alone at Night di Ana Lily Amirpour che gioca proprio su questa falsa percezione. C’è una donna che cammina di notte, da sola, per le strade di una città dal sapore mediorientale e sembra all’apparenza una preda ideale, al contrario è lei a rappresentare una minaccia per chi la incontra, specie se è uomo. 

Ilaria: Se devo dirti, non ho mai pensato a Leone come a un regista misogino, però condivido al 100% il pensiero di Francesca. Per carità era sulle difensive, cercava di rispondere alle accuse della stampa, ma la sua argomentazione è un po’ banale. Io non avrei mai detto che Terrifier sia un film che prende di mira le donne, mi pare che Art the Clown uccida indistintamente chiunque gli capiti a tiro, ma la sua giustificazione mi lascia un po’ perplessa.

Ilaria e Giulia a voi è capitato di girare scene di violenza contro le donne? Come le avete affrontate? E in qualità di attrice e regista cosa pensate del rapporto tra violenza ed erotismo?

Giulia: Oltre che la regista faccio l’attrice e mi è capitato di recitare in più di una scena in cui venivo fatta a pezzi. Mi sono divertita tantissimo. Ma in quelle pose non c’era erotismo, ero la vittima sacrificale e basta. Non sono certa che mi sentirei a mio agio, come attrice, a recitare scene che mescolano la violenza all’erotismo. Ma come regista mi è capitato di girare una scena di questo tipo, devono avermi influenzato i lunghi anni di collaborazione con Paolo Del Fiol (regista horror, ndr), era un dramma storico. Con un montaggio alternato ho intrecciato una scena di torture con una scena di sesso. Niente di troppo cruento ed esplicito, perché si trattava comunque di un prodotto destinato a un pubblico giovane, ma ho voluto creare questa analogia tra il dolore e il piacere.

Ilaria: Anch’io sono stata ammazzata un’infinità di volte. Quindi di solito la violenza non la agisco ma la subisco. E anch’io, proprio come Giulia, ogni volta mi sono divertita da matti. Tieni conto, come si diceva prima, che i set dei film horror sono come delle famiglie dove ci si conosce tutti. Tutti siamo lì per la nostra comune passione e questo aiuta a stemperare molto la tensione. Però credo ci possa essere una correlazione tra erotismo e violenza, ti faccio un esempio, ricordo di un film che ho girato in Inghilterra Dariuss di un regista italiano di base a Londra che si firma Guerrilla Metropolitana dove l’elemento erotico effettivamente si mescolava alla violenza. Venivo da un momento complicato sul piano degli affetti, della famiglia e mi trovo a interpretare una madre che ha perso sua figlia e vive col marito sotto lo stesso tetto ma senza rivolgergli più la parola. All’improvviso un killer psicopatico fa irruzione nella casa è da inizio a una carneficina. Nel film ci sono scene molto forti, anche di autoerotismo. È stata un’esperienza non semplice, ma catartica per certi aspetti. 

Mostruoso Femminile - Dariuss (2023) di Guerrilla Metropolitana con Ilaria Monfardini
Mostruoso Femminile / Dariuss (2023) / Scritto e diretto da Guerrilla Metropolitana / Ilaria Monfardini
Oggi l’horror vanta molte autrici di primo piano, e gli stessi registi maschi sono più sensibili a sviluppare tematiche care alle donne e a costruire personaggi femminili sfaccettati. Penso ad Alex Garland, John Fawcett, lo stesso Ari Aster. Ritenete che si possa riconoscere un valore di genere nella produzione cinematografica? Intendo dire che un film scritto e diretto da una donna ha un suo valore intrinseco e una sua unicità non replicabile da un uomo?

Francesca: Sicuramente c’è una componente di soggettività dell’esperienza femminile, per cui una donna è consapevole di determinate dinamiche. Nel caso di Prevenge, citato prima, una gravidanza raccontata da una donna incinta (è il caso di Alice Lowe) ha un valore maggiore. Con questo non voglio dire che un film diretto da una donna sia sinonimo di qualità. Né credo che un’autrice donna sia necessariamente interessata a proporre una prospettiva diversa o una narrazione emancipatoria, dopotutto il modello patriarcale è pervasivo e può influenzare le stesse donne. Sarà capitato a tutte di sentire una conoscente fare discorsi misogini. Resta il fatto che statisticamente, più registe donne si affermeranno, più le donne avranno accesso alla sedia da regista, più si proporranno contenuti che parlano alle donne.

Ilaria: Penso ci siano alcune tematiche, la maternità su cui ci siamo soffermati a lungo, ma anche la violenza sessuale o le discriminazioni di genere su cui una donna per forza di cose ha una consapevolezza diversa. Un uomo può farti un ottimo film su questi temi, ne abbiamo citati diversi, ma la donna può cogliere aspetti meno evidenti, perché vive queste condizioni sulla sua pelle.

Giulia: Ci sono temi che una donna vive e interpreta in modo diverso, e questo si riflette nei suoi film. Penso anch’io a Prevenge che affronta la maternità con un mix di umorismo nero e orrore, o a Raw dove la scoperta della propria identità e sessualità viene raccontata in un modo viscerale e unico. Un uomo può trattare questi temi in modo eccellente –è stato citato Rosemary’s Baby di Polanski– ma una regista donna riesce a cogliere sfumature più intime e personali, perché certi aspetti li vive o li comprende in modo più diretto. È una questione di prospettiva, più che di capacità tecnica.

Mostruoso femminile / Plan 9 from Outer Space (1957) / Diretto da 	Edward D. Wood Jr.
Mostruoso femminile / Plan 9 from Outer Space (1957) / Diretto da Edward D. Wood Jr.
E a cosa si deve il successo di tutte queste donne nell’industria dell’horror? 

Francesca: Si inserisce nel trend del cosiddetto Art Horror o Horror d’Autore, perché più o meno, l’affermarsi di queste registe e sceneggiatrici è emerso nello stesso periodo, il genere ha sempre più ambizioni autoriali. E poi sta venendo meno quel pregiudizio che l’horror fosse estraneo alla dimensione femminile, alla nostra sensibilità artistica. Prima si pensava fosse una cosa da maschi. Le donne sono state abili anche a trovare una loro strada, una via di mezzo tra il cinema di genere e il cinema più artistico. Non è un caso che molte delle nuove autrici partecipano o vincono festival prestigiosi come Venezia o Cannes. A questo si è aggiunta l’attenzione mediatica che ha voluto gettare luce su questo filone di horror al femminile, anche se io la considero una narrazione riduttiva, perché anche in passato le donne hanno scritto e diretto film dell’orrore. 

Ilaria: All’inizio dell’intervista Giulia diceva che in Italia ci sono poche registe donne perché c’è il timore del giudizio degli altri. È un retaggio di cui non siamo ancora riusciti a liberarci. Prima le donne dovevano corrispondere a un modello ideale, un modello deciso da altri, oggi per fortuna sono più libere. Anche di fare scelte poco in linea con gli stereotipi di genere, per esempio girare horror sanguinolenti, senza per questo essere considerate delle pazze o delle poco di buono. Penso che anche in Italia, presto avremo più autrici donne nell’horror.

Mostruoso Femminile / Freaks (1932) / Diretto da Tod Browning / Olga Baclanova
Mostruoso Femminile / Freaks (1932) / Diretto da Tod Browning / Olga Baclanova
Il vostro film horror preferito e perché?

Giulia: Non ne ho uno che preferisco in assoluto, ma ho visto ultimamente un film che mi è rimasto impresso, forse perché lo associo a un ricordo d’infanzia, Darkness di Jaume Balagueró, precedente a Rec. Apprezzo questo horror perché da una parte ha un impianto classico e allo stesso tempo prende una piega inaspettata verso la fine. È un horror con tutti i crismi del genere ma fatto a regola d’arte.

Ilaria: Il mio è Profondo Rosso, lo so, non è propriamente un horror, ma ogni volta che lo vedo mi provoca le stesse emozioni. Nessun’altra pellicola ha lo stesso effetto su di me. Poi, per restare su veri e propri film dell’orrore, direi L’esorcista di William Friedkin e Halloween di John Carpenter. Questa la considero la mia triade sacra.

Francesca: La domanda da un milione di dollari! Ogni volta che mi chiedono qual è il tuo “qualcosa” preferito  la mia mente va in blackout. Ti direi Brood – La covata malefica di Cronenberg, adoro questo regista e apprezzo la sua capacità di combinare il cinema di genere con l’autorialità. Poi sono affascinata dai body horror, da tutto quello che tratta la mutazione del corpo e tra l’altro anche qui si parla di gravidanza e maternità, una specie di leitmotiv di questa intervista. Il film a cui sono più affezionata però è Freaks di Browning. Può sembrare strano, ma ogni volta che lo guardo io mi sento a casa.


Francesca Lapadula

     

Ha studiato cinema al DAMS dell’Università di Bologna e ha conseguito la laurea magistrale in cinema, televisione e produzione multimediale presso l’Università degli studi di Roma Tre. Nel corso dei suoi studi ha approfondito il cinema di genere e la feminist film theory, prima con la tesi Pornografia femminista in Italia e poi con la tesi magistrale Le donne nell’horror. Gender, rappresentazione e nuovi scenari nell’horror contemporaneo. Oggi lavora come ricercatrice indipendente e ha partecipato alla pubblicazione del libro Giardini a Roma (Aracne, 2022) con un intervento sulla rappresentazione dei giardini storici romani nel cinema. 

Ilaria Monfardini

     

Nasce a Firenze e si laurea in lettere classiche a indirizzo archeologico, specializzandosi successivamente in Egittologia a Torino. Contemporaneamente consegue un diploma triennale presso l’accademia d’arte drammatica di Firenze Max Ballet Academy, sotto la guida del regista Massimo Stinco. Dopo una lunga carriera nel teatro, si dedica al cinema esordendo nel 2021 in E tutto il buio che c’è intorno di Pupi Oggiano. È amministratrice del gruppo Facebook FILM HORROR… CHE PASSIONE con oltre 30.000 iscritti, dal 2020 conduce su Radio Saigon una rubrica di cinema di genere e dal 2021 collabora con le testate di cinema Malastrana Vhs e Mondospettacolo.

Ha collaborato con numerosi registi tra i quali (in ordine sparso) Riccardo Ceppari, Luigi Scarpa, Andrea Bacci, Paola Settimini, Guerrilla Metropolitana, Max Nascente, Dario Germani, Alex Lucchesi, Paolo Del Fiol, Davide Pesca, Francesco Tassara, Leonardo Barone, Emanuela Messina, Michele Kossler, Alex Visani, Dario Almerighi, Lorenzo Lepori, Andrea Maccarri, ed a breve con Luca Pincini e Davide Cancila. 

Giulia Reine

     

È laureata in letterature europee e americane. Esordisce nell’horror come attrice e collaboratrice di Paolo del Fiol, nella pellicola Sangue Misto. Ha diretto Il diavolo e l’acqua santa nel 2020, Il giorno che verrà e Red nel 2022. È autrice dell’antologia di racconti horror Ombre e sussurri e attualmente presta la sua voce per altre produzioni di animazione come Breath: A Half Life Story per la regia di Alessandro Rindolli e Lo chiamavano Marcus, un film storico indie ambientato nel medioevo, per la regia di Matteo Pagliarusco.


Questo articolo è pubblicato nelle rassegne Figlie di Boadicea e Cinema Low Budget.

La prima parte dell’articolo: Excursus storico sul rapporto tra horror e femminile la trovi QUI.

Simon Gusman
Simon Gusman
Viaggiatore compulsivo. Per molti anni ha vissuto in Chiapas dove ha conosciuto il Subcomandante Marcos. Al momento vive a Granada.

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