Trash Test di Andrea Cosentino / Arti Performative / Teatro / Interviste / La redazione di Ɐ Revolt si è spesso occupata di Intelligenza Artificiale, ne sono un esempio gli articoli L’arte dopo l’Intelligenza Artificiale, in cui un chatbot intervista se stesso, e Le allucinazioni dell’intelligenza artificiale. Non che sia una medaglia da appuntarsi al petto, nel mondo dell’editoria sono innumerevoli gli esperimenti con ChatGPT, Gemini, Copilot e compagnia assortita, da il Foglio AI al Fashion Magazine COPY a cura di Carl-Axel Wahlström, per finire con la miriade di blog che adoperano esclusivamente contenuti generati dall’Intelligenza Artificiale per fini più o meno nobili.
D’altro canto si tratta di un argomento ineludibile, di una svolta epocale per il genere umano, al pari forse della scrittura pittografica. Per questa ragione siamo lieti di intervistare il drammaturgo, regista e attore Andrea Cosentino (premio Ubu 2018) su Trash Test, il suo ultimo spettacolo nel quale «ChatGPT viene utilizzata come mezzo per smascherare, deformandole con la lente dissacrante di un teatro ruvido e veloce, le combinazioni semantiche, le strutture drammaturgiche e i cliché emotivi, che pure se ben confezionati, ci appassionano, ci commuovono o ci fanno pensare», al fine di operare «una destrutturazione delle logiche drammaturgiche questa volta alle prese con l’AI».
Trash Test, prodotto dal Teatro Metastasio di Prato, andrà in scena in anteprima a Milano, al Teatro della Contraddizione dal 25 al 27 aprile.
Ma prima di entrare nel vivo dell’intervista, ho ritenuto opportuno chiamare in causa l’altro protagonista di Trash Test, ChatGPT (dopotutto il boomerismo giornalistico non può essere appannaggio del solo Claudio Cerasa, vi pare?) per una valutazione sull’ultima fatica di Cosentino, dandogli in pasto come prompt il comunicato stampa dello spettacolo. Ecco cosa mi ha risposto…
ChatGPT: «Trash Test sembra un’esperienza che ha l’ambizione di andare oltre il tradizionale concetto di spettacolo. È una sfida intellettuale e artistica, una celebrazione della fragilità dell’essere umano e della tecnologia, che potrebbe lasciare il pubblico con un sorriso sulle labbra e molti interrogativi nella mente. Il pubblico, non più spettatore passivo, diventerà parte attiva dell’opera, collaborando con un’AI nella creazione di frammenti di dialoghi, trame e scene che vengono immediatamente sottoposti alla lente dissacrante dell’azione teatrale. Il risultato sarà una festa del nonsense che non solo diverte, ma invita a riflettere sull’autorità dell’autorialità e sul significato dell’espressione artistica nell’era digitale. Mi affascina anche l’approccio “punk” di questo spettacolo: la volontà di ridicolizzare ogni pretesa autoriale, sia essa umana o artificiale, e l’idea di celebrare il depensamento comunitario attraverso il comico la trovo un’intuizione semplicemente brillante!»
* Per questa intervista le mie domande si alterneranno a quelle di ChatGPT.

Partiamo dal titolo. Nella tua irriverente rimodulazione di “Crash Test” in “Trash Test”, cosa intendi collaudare? L’affidabilità della AI? Il suo grado di pericolosità? O la capacità degli utenti di interagire con questi nuovi strumenti?
È innanzitutto un gioco di parole che mi divertiva. Poi non parto mai da ipotesi precostituite nei miei lavori, né tanto meno ambisco a dimostrare tesi. Tanto più ho cercato di tenermi lontano da ogni tentazione didascalico-retorica in uno spettacolo che affronta un argomento tanto caldo, dibattuto e persino “a la page”. Direi in sintesi che quel che cerco di fare col mio teatro punk, e in questo caso anche con la mia distanza da boomer rispetto alle tecnologie digitali, è sbatacchiare, forzare, maltrattare e persino smontare il giocattolo, senza però mai smettere di farlo funzionare. E sempre con spirito ludico prima ancora che sperimentale.
ChatGPT: Da dove nasce l’idea di Trash Test? È stato un processo creativo spontaneo o una riflessione maturata nel tempo? E come si inserisce nel tuo percorso di ricerca?
Diciamo che ho voluto occuparmi di Intelligenza Artificiale prima che fatalmente lei finisse ad occuparsi di me, ovvero arrivasse a occupare i miei spazi di creatività. Nel mio percorso artistico la decostruzione dei linguaggi dominanti e del loro modo di raccontare e rappresentare il mondo è una costante, lo facevo nei confronti dello strumento televisivo con la mia Telemomò, venti e passa anni fa, in piena Italia berlusconiana. Ecco, oggi, prendendo di petto l’AI, cerco di tenermi al passo rispetto a quella che, comunque la si pensi, si annuncia come una roba epocale.
Hai presentato Trash Test come «un happening dove, in collaborazione con gli spettatori, si chiede a ChatGPT di produrre tranci di scene, dialoghi e trame sempre nuove, per metterne alla prova all’istante l’efficacia e con la stessa mossa carnevalizzarne ogni pretesa di senso», queste poche righe lasciano presagire una certa imprevedibilità della performance, quasi un’esperienza refrattaria a ogni replica, condizionata dagli input offerti, di volta in volta, dal pubblico. Puoi dirci qualcosa di più sullo svolgimento dello spettacolo?
Non vorrei dirne troppo per non rovinare la sorpresa. Alla fine l’obiettivo di un teatrante, e anche il senso profondo del teatro, è l’essere qui e ora. Se questo fosse davvero raccontabile, sarebbe una sconfitta. Quello che puoi raccontare efficacemente, in qualche modo, sarà sempre e solo il cattivo teatro. Poi io ho sempre amato l’improvvisazione, e sempre me ne sono concessa molta nei miei lavori. Qui c’è sicuramente in più la sorpresa delle risposte sempre diverse dell’AI, e l’apertura alle proposte degli spettatori, che portano l’evento a un alto tasso di imprevedibilità, e questo lo trovo esaltante.
Tra l’altro, per me che sono per destino e vocazione essenzialmente un solista, il fatto di poter duettare in diretta, anche se con un partner Artificiale, mi fa sentire il brivido di avere a fianco qualcuno che mi costringe ad essere sempre vivo e presente in scena, e pronto a ogni imprevisto. Meglio comunque che stare in scena con un attore accademico che abbia studiato diligentemente ogni battuta e gesto della sua parte. Si, direi che in questo lavoro ancora più che in altri, l’improvvisazione e persino l’imprevisto regnano sovrani. È il lato più divertente di quello che non a caso definisco un happening, più che uno spettacolo.

Qual è il tuo rapporto personale con l’intelligenza artificiale? Ti affascina, ti inquieta o entrambe le cose?
Direi entrambe le cose, inevitabilmente. Ma il mio rapporto personale è nato esclusivamente per motivi professionali, ovvero per poterla dileggiare nel mio Trash Test, quindi forse non è un rapporto disinteressato e sincero.
Il chatbot sviluppato da OpenAI adopera una serie di filtri per censurare contenuti potenzialmente offensivi e lesivi (una sorta di rigorismo morale cibernetico) che non favoriscono certo la trasgressione e tantomeno la più bonaria delle canzonature. Tu, che nel corso delle prove hai avuto certamente modo di approfondire la conoscenza con ChatGPT, cosa pensi del suo senso dell’umorismo?
Il suo senso dell’umorismo è proprio una delle cose che testo di più, ed è inevitabilmente basico, per ora, e quindi ridicolo. Ma tra il ridicolo e il comico il passo è breve, e ti garantisco che in questo spettacolo io e l’AI, come duo demenziale, diamo vita a dei gustosi siparietti.
I modelli linguistici generativi (LLM) si basano essenzialmente su calcoli statistici per generare frasi di senso compiuto facendo ricorso a una banca dati sterminata. Questo implica la generazione di contenuti per lo più prevedibili e privi di originalità. Li potremmo considerare oracoli dell’omologazione culturale, o, per usare un termine più di tendenza, oracoli del mainstream?
Anche il funzionamento statistico dell’AI è al centro dei miei test, così come è da sempre un obiettivo polemico del mio teatro, ma anche un suo perno di gioco comico, l’omologazione culturale. Me la caverei dicendoti che il mainstream non l’ha certo inventato l’AI, anzi vederla all’opera può essere una buona occasione per smascherare i meccanismi linguistici e retorici della cultura generalista, e della società dello spettacolo in generale. Il principio base dei modelli linguistici generativi è pur sempre garbage in-garbage out. Alla fine l’AI si nutre di quel che gli diamo noi umani pensanti, e non possiamo declinare del tutto le nostre responsabilità.
Recentemente, Rai Cinema Channel ha supportato #Cort-IA, un contest finalizzato a premiare la migliore sceneggiatura scritta con il supporto di chatbot e modelli linguistici generativi. L’iniziativa ha scatenato le ire di WGI, un sindacato di sceneggiatori italiani. Pensi che l’AI sia una minaccia per i lavoratori dello spettacolo?
Se lo è, e io credo lo sia, è una minaccia inevitabile, e non la si può combattere con un protezionismo destinato a essere sconfitto. Alla fine credo sia questa la grande rivoluzione dell’AI: che ci obbligherà a ridefinire le nostre concezioni un po’ romantiche e comunque egotiche sulla autorialità. Io mi porto avanti, e con Trash Test metto in atto il mio personale autodafé come Autore con la A maiuscola.
Nel presentare Trash Test hai adoperato una locuzione a cui fai spesso ricorso «il teatro che non fa testo», cosa intendi esprimere?
È un po’ complesso, è una definizione che ho usato nel mio passato da studioso per ridefinire una certa comicità orale, popolare e subalterna. Ma in sintesi, diciamo quel teatro il cui valore non è nei testi, ma semmai al contrario nella loro dissoluzione in un evento fuori del quale e dopo il quale non resta nulla. L’unico valore è nell’essere presenti.
ChatGPT: Hai mai avuto il timore che l’IA potesse produrre qualcosa di sorprendentemente valido, mettendo in crisi il tono dissacrante dello spettacolo?
Non direi, anzi. Sono felice quando l’IA mi sorprende, direi addirittura che ci conto. Il dispositivo dello spettacolo è costruito in modo da prevedere i miglioramenti della macchina, che sono continui e costanti, come ho visto chiaramente nei sei mesi di giochi di preparazione di questo lavoro.
Con il tuo format Telemomò, hai dedicato molti anni allo studio e alla parodia del linguaggio della televisione, in modo particolare quella di derivazione berlusconiana. Oggi, però, i giovani preferiscono sintonizzarsi sui canali di YouTube o TikTok, e persino i millenial trenta/quarantenni tra la TV e un podcast spesso optano per quest’ultimo. La tua opinione sul linguaggio di internet?
Diciamo che dopo Telemomò ho cercato di aggiornarmi, un mio spettacolo performativo col quale ho avuto l’ambizione di affrontare questi cambiamenti è Kotekino Riff. Non ho mai opinioni sui linguaggi, o se ne avessi sarebbero quelli, di per sé poco interessanti, di un quasi anziano signore che fatica ad adeguarsi. Ma nel mio operare artistico cerco di non avere preconcetti, e come dicevo soltanto provare e decostruire quello che vedo, gioiosamente e senza giudizio. Provo a risponderti con una battuta tratta da Kotekino Riff: “la comunicazione contemporanea non è approfondimento, è efficacia, è velocità, cioè se tu non sei efficace e annoi dopo dodici o tredici second”

Grazie all’affermarsi della Stand Up Comedy, moltissimi giovani si stanno avvicinando alla comicità. Ai teatri preferiscono i circoli ARCI e quasi tutti ambiscono ai 15 minuti di celebrità preferibilmente trasmessi da Comedy Central. Segui la scena? Come vedi queste nuove generazioni di comedian?
Non seguo in maniera approfondita la stand up, ma non la disdegno. Ho subito ai miei tempi fin troppi anatemi per una certa eccessiva contiguità del mio teatro all’allora vituperato cabaret, per non essere solidale. Credo, aldilà della qualità degli stand-upper —se si dice così— che comunque si tratta di una scena perlomeno più meritocratica, forse anche perché brutalmente commerciale, rispetto ai filtri e gli amichettismi della scena teatrale, istituzionale e anche “di ricerca”. Dunque ben venga che i giovani provino il proprio talento e trovino il loro spazio laddove non devono asservirsi a umilianti logiche politiche e di scuderia.
ChatGPT: Se il pubblico apprezzerà Trash Test, chi dovrebbe prendersi il merito: tu o l’algoritmo?
Io direi un pari merito. Volevo anche segnalarlo nei credits dello spettacolo. Avrei voluto scrivere “Trash Test: uno spettacolo di Andrea Cosentino e ChatGpt”. Ma alla fine si è deciso di soprassedere proprio per una certa nebulosità della legislazione sui diritti d’autore. Per cui, almeno a livello ufficiale e burocratico, per adesso mi arrogo ogni merito. O demerito, ovviamente.
Qualche parola su Andrea Cosentino
Attore, autore, comico e studioso di teatro, docente universitario. Premio speciale UBU 2018 per la sua lunga opera di decostruzione dei linguaggi televisivi attraverso la clownerie, e in particolare per Telemomò, che attraversa i suoi lavori da anni. Andrea Cosentino si definisce “comico d’avanguardia o clown nichilista”, si distingue per una comicità colta e diretta che mescola l’impegno all’intrattenimento, l’affondo del pensiero ad una comicità paradossale. Da anni la sua sperimentazione si concentra sull’improvvisazione e sul divertimento, in relazione al pubblico e al “qui e ora” della scena.
Estratto dal comunicato stampa
«L’uomo è ciò che mangia e l’Intelligenza Artificiale è nutrita da 15 anni di web in cui nuotano infinitamente più testi di quanti prodotti nei precedenti tremila di storia umana, geroglifici compresi: diciamo all’incirca 2% Sofocle e Dante, 18% manuali e trattatelli di vario genere e argomento, e 80% esternazioni social come “quando ho cominciato ad amarmi davvero, mi sono liberato delle persone che mi tiravano giù” o “se volevo essere solare, nascevo pannello”». A partire dal ricettacolo di mainstream che l’AI costituisce, Cosentino mette in scena il suo teatro comico nichilista.
Trash Test
di e con Andrea Cosentino
assistente alla regia e alla drammaturgia Andrea Milano
consulenza artistica Margherita Masè
light designer Massimo Galardini
coordinamento tecnico dell’allestimento Marco Serafino Cecchi
assistente all’allestimento Giulia Giardi
produzione Teatro Metastasio di Prato